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Videogiochi e Formazione

Raffaele Picardi[1]

 

Una didattica amica con le nuove tecnologie: da Rodari ai videogames

Sento, vedo, gioco: imparare sarà il piacere del futuro?

               

Oramai si è mossa anche la scuola, per una volta mostrando una grande capacità di confrontarsi con l’evoluzione delle tecnologie della conoscenza. Il piano pluriennale di sviluppo delle tecnologie didattiche varato dal ministro Berlinguer sta, infatti, dando i primi frutti, creando le condizioni strutturali per diffondere l’utilizzazione del computer  nella pratica educativa. Entro i quattro anni previsti dal piano, tutte le scuole italiane avranno a disposizione laboratori multimediali e grazie alla legge sull’autonomia potranno avviare programmi di formazione dei docenti per gestire tutte le opportunità offerte dalle nuove tecnologie. Le grandi case produttrici di hardware e quelle che producono software si stanno organizzando per sostenere le scuole nei loro programmi di modernizzazione della didattica.

Si parla di didattica multimediale. Ed effettivamente l’utilizzazione delle tecnologie, in particolare del computer multimediale, che le collega tutte in un’unica dimensione, sembra promettere la soluzione di tanti problemi del rapporto fra insegnanti ed alunni nelle aule, a condizione di superare pregiudizi vecchi e nuovi. La diffidenza verso la tecnologia è una caratteristica della scuola italiana che ha origini lontane. Ma la cosa non riguarda solo la scuola italiana. Nicholas Negroponte sostiene che se per uno scherzo del Tempo un insegnante dell’800 capitasse in un’aula del tempo di oggi potrebbe tranquillamente capire tutto quello che vi succede, senza alcuna difficoltà. La stessa cosa non potrebbe accadere in nessun altro settore professionale. Ma fra poco non sarà più così.

Ci saranno classi virtuali, formate da gruppi che si scambiano esperienze di apprendimento tramite reti locali e tramite le grandi autostrade informatiche; sarà possibile consultare fonti di informazione collocate in qualsiasi posto del pianeta; progettare e realizzare esperimenti scientifici di ogni genere, controllando gli effetti delle variabili manipolate attraverso la simulazione consentita dagli elaboratori; imparare le lingue attraverso metodologie di role playing in contesti virtuali full immmersion: queste saranno le aule scolastiche tecnologiche.

Ma la multimedialità sembra promettere ancora di più a coloro che avranno il coraggio di utilizzarne gli approcci. Le ricerche sulla mente ci dimostrano che ogni individuo ha linguaggi di apprendimento e modi di socializzazione personali: sono stati individuati stili di apprendimento visivi, uditivi, cinestetici. In un futuro prossimo, attraverso la didattica multimediale, si avrà l’opportunità di fornire agli allievi proposte didattiche personalizzate, modulate sui loro personali stili di apprendimento. Tutto ciò accompagnato dalla dimensione dell’interattività che rende protagonisti gli utenti dei programmi e dalle dinamiche del gioco, che sono quelle privilegiate dai bambini.   

E gli insegnanti? Calma, nessuno pensa di abolirli: per imparare ci sarà sempre bisogno di una guida che aiuti ed orienti la ricerca di apprendimento. I bambini sembrano e sono straordinariamente veloci nell’utilizzare i nuovi linguaggi ma non hanno, né possono avere la maturità sufficiente per assegnare valore alle esperienze che fanno: per certi aspetti vivono il dramma conoscitivo di Cristoforo Colombo: scoprono l’America, ma non sono in grado di riconoscere il valore della scoperta. La relazione educativa si deve perciò basare su forme nuove: meno rigide e più dinamiche. Gli insegnanti possono imparare coi bambini e dai bambini; devono, come sostiene Roberto Maragliano, insegnare poco, consentire di apprendere, realizzare dimensioni di socializzazione in cui essi stessi e gli allievi possano sperimentare il piacere della scoperta e dell’insegnarsi reciprocamente. 

C’è bisogno di una rivoluzione pedagogica. I docenti devono essere preparati per parteciparvi consapevolmente. Alcuni di essi, forse anche un numero consistente, hanno familiarità con il computer; alcuni hanno già realizzato esperienze di fruizione o addirittura di produzione di software didattico.

Questi insegnanti possono essere i protagonisti della fase di sensibilizzazione e di formazione dei loro colleghi ai nuovi linguaggi e possono essere sostenuti ed aiutati in quest’azione proprio da un uso accorto delle tecnologie attraverso teleconferenze ed ipotesi di formazione a distanza che coinvolgano le Università più qualificate. C’è un grande sforzo da fare ma la posta in gioco lo merita: perché i bambini possano scoprire il piacere di imparare, bisogna che gli insegnanti ri-scoprano il piacere di insegnare.

Senza pensare che i nuovi linguaggi aboliscano quelli tradizionali, ma avendo il coraggio di scoprire le matrici dei nuovi approcci in dimensioni conoscitive ed educative che ormai appartengono alla tradizione.

Un bel tema di ricerca potrebbe essere l’esplorazione della dimensione ludica nell’epoca dei media e delle nuove tecnologie elettroniche. In questo senso, si può riflettere e discutere se il “gioco dell’imparare a vivere”, viene facilitato ovvero ostacolato dalla presenza di mezzi così totalizzanti e pervasivi. Oppure considerare, come io penso, che questo è un falso dilemma e che, per parafrasare (ovviamente scherzando) Benedetto Croce, non possiamo non dirci “telematici” e cominciare a pensare come proprio l’approccio ludico può consentirci di formare e consolidare un’attitudine critica e creativa nei confronti delle tecnologie che ce ne faccia essere padroni e non sudditi.

Se vogliamo riferire questi discorsi ai bambini non possiamo non proporre e proporci almeno alcune riflessioni schematiche. Il gioco va visto come un diritto del bambino: oggi questo diritto per poter essere esercitato non può tener conto di strumenti tecnologici costruiti anche espressamente in funzione del gioco. La pedagogia deve aggiornare le riflessioni sul gioco in relazione ai contesti esperienziali reali in cui esso si realizza per i bambini delle attuali generazioni. I videogiochi trovano una legittima collocazione fra gli strumenti ludici, per l’uso massiccio che ne fanno i bambini e non solo, e devono perciò ricevere un’attenzione adeguata da parte di quanti si occupano di formazione ed educazione. Naturalmente non si vuole assumere una posizione di accettazione acritica: si vuole invece discutere in maniera serena, ma spregiudicata, dei fattori positivi e negativi che li connotano.

Partiamo da quelli negativi. Non c’è dubbio che vi sono almeno tre fattori da considerare e da tenere sotto osservazione, attraverso indagini ed analisi approfondite: violenza, solitudine, ripetitività.

Per il primo aspetto si può osservare che il pericolo non sta tanto nel contenuto di certi videogiochi, altrimenti si potrebbe giustamente far rilevare che il contenuto di un medium ritenuto fortemente educativo come la fiaba ha un contenuto di violenza pari se non superiore; il pericolo sta invece nelle condizioni di fruizioni dei prodotti da parte dei bambini. In questo senso i genitori farebbero bene, invece di tentare, peraltro inutilmente, di allontanare i figli da questi strumenti, a giocare insieme a loro; a chiedere che nelle scuole anche attraverso queste forme passi l’alfabetizzazione informatica da tutti ritenuta indispensabile per l’accesso alle dimensioni culturali e sociali della modernità; a sollecitare che nelle sale da videogiochi vi siano tutor esperti di gioco e metodologicamente preparati ad interagire con i bambini.

Per quello che riguarda l’isolamento e la solitudine, che vengono addebitati come aspetti negativi delle situazioni di gioco elettronico, bisogna dire che questi sono problemi di dimensione più vasta che hanno molteplici cause e motivazioni. C’è un bisogno forte di stare insieme, per i giovani e non solo: da questo punto di vista bisogna sollecitare i produttori di videogiochi affinché affianco a giochi di competizione individuali sviluppino e producano giochi competitivi di squadra e giochi collaborativi. Ma anche perché non pensare che nelle sale giochi possano essere attivate figure di animatori, “maestri di gioco” in grado di inserire la fruizione dei giochi in trame relazionali più coinvolgenti e socializzanti? E perché non pensare agli sviluppi possibili dell’intreccio fra giochi elettronici e le reti telematiche, in modo che l’interazione di gioco possa avvenire anche con uno o più giocatori umani collocato dall’altra parte dello schermo che in questo caso funzionerebbe come mediatore e non come terminale dell’azione.

Infine, per quello che riguarda la ripetitività, ancora una volta bisogna stimolare il mercato perché vengano prodotti giochi creativi, che lascino una parte della costruzione della trama di gioco nelle mani dei giocatori, della loro inventiva: in questo senso è interessante segnalare la nascita ed il successo massiccio di programmi come quello di Active Worlds che consente ai giocatori di creare da soli o in gruppo mondi fantastici da esplorare e sviluppare.

Ma veniamo ora a considerare gli aspetti positivi proposti dai media, dalle nuove tecnologie e dal rapporto fra esse e le dinamiche del gioco. Per me e per tutti quelli che si occupano di educazione basterebbe pensare al raffronto che si può tentare fra l’approccio all’educazione creativa di Rodari a quello dei videogiochi. Sarebbe interessante scoprire quante e quali analogie esistono fra le due impostazioni. Perché in realtà tante problematiche moderne del rapporto fra individui e media sono state anticipate dalle argomentazioni di Gianni Rodari. L’ipotesi che mi convince è che Rodari sia stato un grande produttore di metafore “virtuali” ed un anticipatore delle tematiche legate all’uso delle tecnologie nell’epoca della post-informazione. Infatti da Favole al telefono a Novelle fatte a macchina; da Il pianeta degli alberi di Natale a C’era due volte il barone Lamberto è tutto un susseguirsi di invenzioni che utilizzano meccanismi di costruzione retorica che anticipano le suggestioni degli “scrittori” multimediali.

La modernità di Rodari è riscontrabile in tutti gli aspetti della sua produzione: nei contenuti, nelle sue scelte filosofiche e di vita, che esterna nelle pagine di letteratura infantile, con scelte pedagogiche e metodologiche, definite da alcuni commentatori “pedagogia della gioia”.

Egli assume fin dall’inizio della sua ricchissima attività letteraria, una attenzione rilevante e non preconcetta verso tutte le espressioni della cultura della modernità, valorizzando generi letterari considerati trasgressivi e quindi “marginalizzati”: i fumetti, i gialli, le immagini e riservando particolare attenzione alla fantasia, alla fiaba e al mondo dei media tecnologici. Rodari utilizza la fantasia per produzioni letterarie (fiabe, favole, filastrocche etc..) che siano strumenti comunicativi, di lettura e di apprendimento, vicini alle esigenze dei bambini. Si mette dalla parte dei bambini, contro la scuola degli adulti, contro un modo di educare pensato dagli adulti. In ogni sua produzione è facile scorgere un problema di vita, ma è anche possibile intuire, riflettere, capire divertendosi. Ed è perciò che alla fine riesce a liberare anche la fantasia negli adulti. Inoltre l’autore non giudica, non conclude, ma sollecita, propone, discute; il bambino si interroga, confronta, ragiona, ipotizza, costruisce il sapere, conquista le conoscenze.

E poi Rodari riesce a sdrammatizzare situazioni e problematiche che, nella storia della scuola sono state spesso causa di frustrazioni o di insuccessi scolastici. Ad esempio il suo modo di stabilire un approccio divertente con le regole di grammatica e con l’ortografia, divertendosi, sulla base della “pedagogia della gioia”, vivifica anche tutto ciò che appare arido e scollato per la logica infantile.

La fantasia collegata alla tecnologia può essere dunque un grande antidoto allo stress ed alla noia che pervadono le aule scolastiche. "La nostra età dell'ansia è in gran parte frutto del tentativo di svolgere il lavoro di oggi con gli strumenti ed i concetti di ieri". Così ha scritto M. Mc Luhan, e a me questa considerazione sembra adatta a descrivere la condizione di molti di noi come cittadini e come operatori del mondo della scuola. L'automazione, il computer, i videogiochi sono aspetti di una più generale trasformazione degli assetti economici, sociali, culturali, del mondo alla fine degli anni mille, che solleva problemi ed interrogativi etici, politici, filosofici ponderosi. Ci troviamo di fronte ad un cambiamento epocale che preannuncia una rivoluzione di cui si stenta a capire la fenomenologia e la portata, se non per quello che riguarda il tempo: sembra che tutto si trasformi a velocità sempre maggiore.

Come persone, come cittadini, come operatori intellettuali, ci sforziamo di superare l'angoscia dell'incertezza che caratterizza la condizione degli uomini nel mondo attuale per provare a trovare, insieme, modi per comprendere, affrontare, risolvere problemi inediti che la nostra coscienza ci fa percepire. Se volgiamo lo sguardo indietro, ai cambiamenti prodottisi negli anni più recenti, ci rendiamo conto che se il futuro proponesse semplicemente il ritmo dell'innovazione tecnologica registrata negli ultimi vent'anni, ci sarebbe da fare uno sforzo tremendo per non perdere il passo. Ma non sarà così: il ritmo della trasformazione sarà molto più accelerato.

Da quando Internet è riuscita a realizzare, in forma moderna - computers di tutto il mondo, unitevi - la profezia di Karl Marx, ci ha consegnato un'inaudita possibilità di recuperare, manipolare, creare, socializzare dati informativi sotto forma di simboli e linguaggi di ogni genere, ponendoci, come la cronaca quotidiana informa, davanti ad una realtà ‘reale’ connotata, nello stesso tempo, da potenzialità pressoché infinite e rischi incalcolabili. Andremo verso un tempo felice, in cui le macchine lavoreranno per noi, rendendoci finalmente liberi e padroni del tempo di vita, oppure, al contrario, l'automazione porterà una disoccupazione generalizzata, con la contrapposizione socio-economica feroce fra un’élite di nuovi "signori" delle tecnologie e schiere sterminate di marginalizzati di ogni genere, da tenere sotto controllo con misure di polizia? Ci troviamo di fronte ad una sfida inedita e abbiamo deciso di accettarla, perché la riteniamo ineludibile. I videogiochi fanno parte di essa.

Dal 1971, l'anno di importazione del primo gioco elettronico in Italia, questi prodotti hanno catturato sempre maggiore attenzione da parte delle nuove generazioni, fino ad occupare uno spazio fondamentale nell'immaginario giovanile e non solo. Destò sensazione la rivista Time quando nel 1981 assegnò la copertina di "uomo dell'anno" al computer. Oggi ci accorgiamo che il Futuro è arrivato. Che ci piaccia o no, dobbiamo farci i conti. 

Educare ai media, educare coi media, per apprendere la struttura del nostro tempo. La nuova frontiera dell’educazione è dunque questa.

Per esplorarla bisogna moltiplicare momenti di analisi e sedi di confronto e di studio problemi: in particolare, c’è bisogno di una sede periodica, itinerante nelle varie zone del Paese, per promuovere sensibilizzazione, impegno, partecipazione, consapevolezza, rispetto ad un fenomeno ormai di dimensione planetaria che, ci pone interrogativi ai quali la nostra riflessione deve fornire risposte.

In un dibattito di così alto profilo culturale, di così profondo spessore concettuale e di così rilevante portata morale, non può, non deve mancare il contributo del mondo della scuola militante.

Qualcosa su questo piano è cambiato, per effetto del Piano per l’introduzione delle nuove tecnologie promosso dal governo Prodi e dal ministro Berlinguer, ma il più resta da fare.

Il mondo della scuola vede, infatti, ancora oggi, sulla questione dell'informatizzazione, così come è successo, in un passato recente, per i fumetti e la televisione, la contrapposizione tra una larga maggioranza di operatori che teme l'introduzione dell'innovazione all'interno della formazione scolastica e produce resistenza al cambiamento, perché avverte in esso un senso di snaturamento della propria funzione, e una combattiva minoranza che l'assume come strumento privilegiato, assoluto ed esclusivo, dell'innovazione metodologica necessaria alla scuola d'oggi.

Non sono d'accordo con nessuna delle due posizioni, perché ritengo che ambedue siano frutto di un pregiudizio aprioristico e anche di un equivoco, non so quanto inconsapevole.

Sono, invece, favorevole ad un'analisi critica, di merito, che vada ad indagare scrupolosamente i vantaggi e i limiti del computer e del sistema dei media, come strumento culturale, per elaborare strategie pedagogiche che consentano di utilizzare gli uni e di contenere od eliminare gli altri.

Una posizione di questo genere, per altro, è valida, a mio avviso, non solo per gli usi del computer in sede educativa, ma anche per l'impatto più complessivo che i processi di automazione connessi alle nuove tecnologie hanno con i modi di produrre, consumare, comunicare, attualmente utilizzati dagli uomini che abitano il pianeta Terra.

Per quello che riguarda il rapporto fra computer e scuola voglio dire, comunque, che io non credo, e neppure desidero, che il computer possa distruggere la scuola. La tesi paradossale che è stata avanzata, in qualche occasione, da Maragliano evoca uno scenario suggestivo, ma inverosimile e, per quello che mi riguarda, ancor di più, indesiderabile.

Io credo, e spero, che il computer costringerà la scuola a cambiare, ridefinendo la propria funzione ed il proprio ruolo, per migliorare la qualità del suo intervento, per consentire al maggior numero di individui possibile di raggiungere il più elevato livello di istruzione possibile.

In questa prospettiva vedo, finalmente, realizzabile il sogno di Comenio e la profezia di Jerome Bruner, la possibilità di "insegnare tutto a tutti", perché oggi si rendono disponibili, in quantità e qualità adeguate, gli strumenti e le tecnologie sufficienti a tale scopo.

La mia risposta alla domanda posta come titolo della mia relazione è, dunque, "sì, a condizione che..."

Una didattica "amica": ma cosa vuol dire? E poi, "amica" di chi?

"Imparare sarà il piacere del futuro" sostiene Enzo Spaltro. Ci credo anch'io, ma a condizione che gli insegnanti possano imparare a divertirsi, facendo il loro lavoro, in modo tale che anche insegnare possa essere un piacere.

La prima condizione è allora, la consapevolezza degli insegnanti circa l'ineludibilità della sfida, e la possibilità di vincerla. 

Imparare l'informatica e imparare attraverso l'informatica: oggi si può e si deve; ma, si vorrà?

Nel corso dei secoli, la riflessione filosofica ci ha consegnato molteplici immagini dell'uomo: dalla definizione di Homo sapiens, la più antica caratterizzazione della diversità umana nel regno degli animali, proposta da Linneo nel 1735, a quella di Homo faber avanzata nel 1907 da H. Bergson , a quella di Homo ludens elaborata nel 1934 da J. Huizinga.

Oggi la cultura della nuova era dei media ci consegna la metafora dell'uomo interconnesso di Derrick De Kerkhove.

A noi che ambiamo al ruolo di educatori tocca di interpretare questa metafora e tradurla in compito educativo.

Il bambino che conosce, il bambino che costruisce, il bambino che gioca: tutte e tre le metafore possono, oggi, essere accolte all'interno della scuola, grazie alla multimedialità; ed inoltre, la possibilità di utilizzare una rete di interconnessione tra scuole, tecnologie, persone, pressoché illimitata, dilata inverosimilmente in quantità ed in qualità l'incidenza degli interventi.

 

Il gioco come strumento per educare ai media: la costituzione degli autori lettori

Se gli insegnanti credono di potersi mettere in concorrenza col computer in termini di efficienza e di efficacia didattica commettono un grossolano errore di valutazione: il computer aiuta a conoscere di più, meglio, più velocemente del più bravo insegnante, perché i suoi programmi possono, intanto, essere elaborati tenendo conto, proprio, delle esperienze dei più bravi tra gli insegnanti; possono, inoltre, usare strategie di coinvolgimento assorbente, multisensoriali, per la possibilità contestuale di stimolare gli apparati senso-percettivi visivi, acustici, cinestetici, all'interno di trame "narrative" psicologicamente intriganti perché basate su quelle caratteristiche fascinose del gioco, l'alea, l'ilinx, la mimicry, l'agon,  secondo la classificazione di Roger De Caillois, come neanche il più bravo insegnante riesce a fare, in forma continuativa; utilizzano processi e  linguaggi  analoghi a quelli del sogno e, dunque, capaci di accedere all'intimità delle persone; possono, ancora, strutturare i percorsi di apprendimento in funzione dei bisogni e delle capacità di ogni singolo individuo; possono, infine, fare tutto questo in modo rapido ed economico.

Da questo punto di vista una battaglia di resistenza della scuola, di arginamento dell' ‘invasione’ dei prodotti informatici, sarebbe persa in partenza. Del resto, la storia dell'umanità è lì a dimostrare che ogni volta che gli addetti ai lavori, dagli amanuensi medievali agli operai ‘luddisti’ delle fabbriche inglesi di fine ottocento, hanno provato a contrastare l'introduzione di tecnologie più efficienti, sono stati sgominati.

Ma gli insegnanti non possono pensare neppure di lasciare, semplicemente, il loro spazio all'automazione dell'insegnamento, accettando la superiorità del computer in termini di efficienza ed efficacia didattica, perché a questo punto la funzione della scuola diverrebbe inutile e la perdita della dimensione educativa dell'istruzione causerebbe danni irreparabili.

C'è un giochino molto diffuso fra i neofiti del computer, ai quali anch'io appartengo: il ‘solitario’; per me, esso è la metafora più desolante di quello che potrebbe essere l'istruzione automatizzata, senza la scuola.

La scuola deve combattere attivamente la sindrome del "solitario", perché imparare da soli non è possibile, e se fosse possibile non avrebbe senso: gli uomini, da Aristotele in poi, si sono autodefiniti animali sociali e, quindi, se si privano della dimensione della socialità tornano alla condizione animale.

Si tratta, allora, di vedere come il computer modifica la relazione educativa, poiché esso di fatto risolve in maniera ottimale alcuni problemi, di natura prevalentemente istruzionale; ma nello stesso tempo, pone nuovi rilevanti problemi psicologici e relazionali.

Per altro nessuno, oggi, pensa, come invece è accaduto qualche hanno fa quando si è cominciato a pensare alle "macchine per insegnare", al computer come un sostituto dell'insegnante, ma tutti invece assegnano ad esso una funzione di potenziatore dell’attività didattica gestita da soggetti umani. 

Quello che il computer pone come problema agli insegnanti sul piano dell'istruzione è il cambiamento della mediazione didattica; in questo senso il docente ha, ovviamente, la necessità di acquisire competenze d’uso delle macchine, di conoscenza del mercato del software, di programmazione e gestione di ambienti multimediali di apprendimento.

Questo sembra agli insegnanti un compito difficile ed oneroso ed è invece la parte più banale del problema, perché il computer è una tecnologia facile ed accattivante, che si può apprendere velocemente quasi come l'apprendono i bambini.

Agli insegnanti è richiesto un "salto" iniziale, nel compiere il quale devono essere aiutati da un serio piano di formazione iniziale; poi la crescita sarà continua e si nutrirà di elementi di ricerca, di sperimentazione, di costruzione creativa della propria competenza metodologica e strumentale.

Ma come risolvere il problema della socializzazione, nell'era dell'informatizzazione?     

La società industriale ha fondato la sua civiltà su forme comunicative che hanno preso il nome di Mass media; quella post-industriale, caratterizzata dall'enfasi sulla soggettività individuale, ha elaborato i Personal media; la società del futuro ha fortemente bisogno di creare forme comunicative nuove: "Social" media, che consentano di affrontare e di vincere insieme la sfida della Conoscenza e quella, ancora più importante, della Comprensione, intesa sia nel senso del padroneggiamento dei processi della conoscenza, che nel senso della consapevolezza della condivisione di un comune destino, come abitanti del stesso Mondo.

Le mie riflessioni, però, non vogliono essere solo considerazioni teoriche, ma fondare scelte e proposte concrete ed operative: del resto, dicono che il pensiero complesso produce soluzioni semplici; spero che così possa essere anche per un pensiero come il mio, che, più modestamente, si limita ad essere solo complicato.

Ad ogni modo, mi permetto di avanzare alcune proposte che spero possano tornare utili al dibattito comune. 

 

1. Il Tele-studio

La scuola è un ambiente di apprendimento socializzato.Gli individui che la frequentano: gli alunni, ma anche gli adulti, docenti, operatori scolastici, genitori, sono immersi in una rete di relazioni e di sollecitazioni interattive che sono i canali attraverso i quali avviene la trasmissione di informazione e di formazione.

Le nuove tecnologie, in particolare le reti telematiche, Internet ed Intranet, dilatano la rete dell'interazione fino alla dimensione dell'intero pianeta. 

Questa dilatazione consente l'accesso a forme di relazione impensate, in ‘tempo reale’, ma può provocare, a mio giudizio, problemi di disorientamento e di dispersione.

Il rapporto con le reti grandi e piccole ed il loro uso va governato in maniera intelligente da parte di insegnanti ed alunni.

La Grande Rete va utilizzata per il recupero di dati informativi di ogni genere e come orizzonte relazionale più ampio di educazione alla mondialità ed all'interculturalità.

Le piccole reti, quelle che si possono realizzare all'interno della stessa scuola o fra plessi e scuole relativamente vicine, possono servire alla manipolazione rielaborativa nel circuito locale, attraverso strategie collaborative "virtuali" e "in presenza".

Poter interagire con partners di studio con cui si possono instaurare relazioni alternate di momenti di contatto diretto e momenti di contatto virtuale può consentire la creazione di ‘classi virtuali’ allargate, in cui sviluppare strategie di mutuo insegnamento tra pari, sotto la guida degli insegnanti e con la possibilità di interazione bilanciata fra grande rete e piccole reti.

Certo, ci sono alcuni problemi che devono essere affrontati e risolti per rendere più agevole e sicura l'introduzione del computer a scuola e per rendere praticabili questa ed altre proposte.

Il primo problema è economico: i costi delle macchine e dei programmi sono ancora troppo alti per consentire la diffusione di massa che sembrano promettere i programmi politici dei governi dei Paesi avanzati. Inoltre, vi è da considerare il problema del costo aggiunto della rapida obsolescenza che caratterizza le tecnologie moderne; da questo punto di vista bisognerebbe consolidare ed estendere il modello di miglioramento ‘per blocchi’, che contraddistingue le macchine delle ultime generazioni, in cui è possibile procedere cambiando le parti che necessitano di aggiornamento, piuttosto che cambiare l'intera macchina, oppure considerare soluzioni organizzative diverse dall'acquisto, come quelle offerte dal leasing. Recentemente il quotidiano “Repubblica” ha individuato una nuova forma per risolvere la questione quando ha lanciato un’interessante campagna promozionale che ha riscosso un grande successo, per dotare le scuole di apparecchi “riciclati” forniti da aziende che ammodernano il loro “parco macchine”.

Il secondo problema è quello dell'interfaccia: oggi la difficoltà dell'interazione tra macchine e persone è posta a carico degli individui umani. Molti insegnanti trovano difficile l'approccio all'uso del computer perché non riescono a superare "il complesso della tastiera".

Bisogna dunque, rapidamente, superare la tastiera come interfaccia sostituendola, intanto, con la voce e la penna, che sono gli strumenti tradizionali dell'interazione didattica e, appena possibile, in virtù delle ricerche attualmente in corso, integrare tali canali con quelli più immediati dello sguardo, del tatto e dell'olfatto. Qualcuno sostiene che in futuro i bambini impareranno ad usare il mouse prima della penna. Io credo che ancor prima i computer avranno imparato ad interagire con gli umani in modi per noi più naturali.

Un terzo problema è quello ergonomico: abbiamo la necessità di avere prodotti specificamente pensati per aule scolastiche ed alunni, piuttosto che pensare di adattare alle scuole apparecchi, che sono stati pensati per ambienti ed usi diversi.

Alcuni produttori stanno già impegnandosi per trovare soluzione a tali problemi: con piacere cito l'apparecchiatura multimediale creata dai nostri partners del convegno, Olivetti e Giunti Multimedia, che combina insieme televisore, videoregistratore, computer multimediale e telecomando a distanza; ma interessante è anche la soluzione proposta dalla Apple, di un computer portatile compatto dotato di puntatore stilo, già in commercio negli Stati Uniti e nel Regno Unito.

Sarebbe intrigante (e a me, personalmente, interesserebbe trovare un produttore in grado di realizzarla) pensare ad una lavagna digitale (Bit-board potrebbe andar bene come nome?), comandabile al tatto e/o con un puntatore a distanza, che si comporti come oggi fa la sinergia del computer e del videoproiettore, da usare al posto o al fianco della tradizionale lavagna di ardesia.  

Ci sono, dunque, problemi di hardware che ostacolano l'uso massiccio delle nuove tecnologie nelle scuole; sono problemi seri: tocca al mondo imprenditoriale e a quello delle Istituzioni risolverlo.

Il Ministero della P. I. ha fatto bene la sua parte, se è vero, come è vero, che è stato predisposto un piano di investimenti di 1000 miliardi a tale scopo, che sta per ultimare il suo ciclo di investimenti, dotando le scuole del Paese di laboratori multimediali di varie configurazioni.

 

2. Il sillabario multimediale

Ma c'è anche un problema di software, che si pone sotto due aspetti. Il primo è quello che riguarda la produzione di sussidi didattici, all'altezza delle possibilità e delle necessità di oggi: l’apprendimento si gioverebbe di un sillabario multimediale interattivo.

Dobbiamo a Comenio l'intuizione che nell'apprendimento una funzione decisiva può essere svolta dal vedere quello che si deve imparare. L'Orbis pictus scritto nel 1650 è infatti il primo libro che utilizza la funzione dell'illustrazione come accompagnamento esplicativo del testo. Nessuno oggi si sognerebbe di contestare un abbinamento del genere, addebitando ad esso una facilitazione eccessiva della comprensione. Ma chi l'ha detto, poi, che l'apprendimento deve obbligatoriamente essere correlato alla ‘fatica’? Un conto è l'impegno, un altro lo sforzo, nello studio. Solo una mente sadica può scambiare un concetto con l'altro. Quello che l'illustrazione ha fatto nella didattica testuale può fare, in modo insospettatamente maggiore, la multimedialità nella didattica ipertestuale.

Per capire la questione, penso sia opportuno citare un esempio che usa Nicholas Negroponte in Essere digitali. "I bit in ingresso relativi ad una partita di footbal [...] possono essere trasformati dal vostro computer-televisore in modo che li possiate guardare come immagini, oppure sentire sotto forma di voce del cronista, o vedere come diagrammi. In tutti i casi si tratta della stessa partita e dello stesso insieme di bit. Quando i bit vengono tramutati in suoni [...] il mezzo sonoro vi costringe ad immaginare le azioni (ma vi consente allo stesso tempo di guidare l'automobile) [...]. Quando invece i bit sono resi in forma di diagrammi, strategie e tattiche diventano immediatamente comprensibili. La cosa più probabile è che l'utente passi alternativamente dall'uno all'altro dei tre modi di utilizzare i bit.” Perché una modalità comunicativa del genere non dovrebbe essere possibile in un’aula scolastica?

Perché non sarebbe addirittura desiderabile usare sistemi che come utilizzando le implicazioni della proposta di Negroponte adottando una logica del genere: “Se non avete capito la prima volta, in qualsiasi modo ve l’abbia presentato, lasciate che io (la macchina) ve lo illustri con una strategia alternativa, per esempio, un cartone animato o un diagramma tridimensionale”?

Come sarebbe più facile pensare a problemi la cui soluzione è allo stato dei fatti impossibile per gli insegnanti, come la individualizzazione dei percorsi formativi, il recupero, il consolidamento, l'estensione degli apprendimenti in funzione degli stili dei singoli individui e delle esigenze e delle potenzialità di tutte le bambine e di tutti i bambini, se nelle scuole vi fosse una capacità diffusa di adottare ed usare strumenti e logiche analoghe.   

In questo senso, credo che si debba lavorare, anche per consentire alla scuola di adattarsi senza eccessivi problemi alle nuove modalità didattiche ed organizzative prefigurate dai documenti preparatori della riforma dei cicli dell'istruzione proposta dal ministro Berlinguer, l’adozione di un sillabario multimediale interattivo che sia lo strumento di traduzione didattica del curricolo essenziale e del relativo sillabo della nuova scuola di base.

Uno strumento di tal genere potrebbe risolvere gran parte dei problemi di programmazione, selezione dei contenuti, variazione delle modalità di presentazione degli argomenti, personalizzazione dei percorsi di approfondimento, che gli insegnanti oggi non sempre riescono a risolvere, con la possibilità di avere risultati migliori, con minor dispendio di tempo e di fatica.

 

3. Qualita'  vo cercando... Un marchio di qualità per i video-giochi

L'altro problema è quello del software prodotto più specificamente per il consumo ed il divertimento privato. Il mercato dei media è un mercato che offre in modo continuativo ed in quantità sostanzialmente illimitata; ma come si impara a scegliere? Come si impara e come si insegna a non rimanere vittime delle sollecitazioni interessate?

In questa prospettiva tocca alla scuola un compito estremamente delicato ed importante: quello di rielaborare la sua funzione di costruzione ed educazione della capacità critica degli individui, nell'era della post-informazione, di dotare tutti i cittadini degli strumenti culturali che li rendano soggetti di scelta e non destinatari delle scelte altrui. Questo compito può esaltare la funzione tutoriale dell'insegnante di educazione al gusto e alla consapevolezza e la funzione democratica della scuola a garanzia della formazione delle nuove generazioni. Molti giudizi che circolano sui video giochi risentono, oltre che di una buona dose di diffidenza precostituita, della mancanza di possibilità di tutela e di orientamento dei consumatori in un mercato che si caratterizza, così come avviene per altre forme di consumi, per un'assenza totale di regole e controlli che consentano un rapporto positivamente equilibrato fra produttori e consumatori.

Da più parti è stata avanzata l'ipotesi di una certificazione di qualità e la proposta che segue va proprio in questa direzione. Essa presuppone un patto fra Ricerca, Produzione, Istituzioni, Scuola, Famiglie per garantire la affidabilità dei prodotti in termini di qualità educativa. Come strumento operativo di questo patto si potrebbe realizzare un circuito di scuole di qualità, assistite dalla ricerca universitaria, che si impegnino a ‘testare’ programmi software rilasciando una certificazione che ne garantisca l'idoneità d'uso per i bambini, gli adolescenti e gli adulti. Le scuole dovrebbero essere scelte sulla base di criteri di rappresentatività e di congruenza con gli scopi del progetto:

  • diffuse su tutto il territorio nazionale, non  eccessivamente numerose (in linea di massima, una per regione), con attenzione all'equilibrio fra le diverse fasce d'età degli alunni;

  • qualificate nell'utilizzo delle tecnologie multimediali nelle attività didattiche e contraddistinte da un rapporto fra numero di laboratori multimediali uguale o superiore alle medie delle singole regioni;

  • attivamente impegnate nella tutela dell'infanzia, attraverso il riconoscimento esplicito dei diritti degli alunni, nei loro progetti di istituto.

Esse si impegnerebbero, attraverso lo strumento delle convenzioni rese possibili dalla nuova normativa dell'autonomia, a ‘testare’ i prodotti realizzati dalle case produttrici che accettano il patto, rilasciando alla fine della prova una classificazione del singolo prodotto come ‘adatto a tutte le età’ (gallo verde); ‘adatto ai superiori ai dodici anni’ (gallo giallo); ‘riservato agli adulti’ (gallo rosso). Le case produttrici aderenti al progetto riceverebbero all'atto della sottoscrizione del Patto una ‘patente di affidabilità’, che sarebbe ritirata in caso di accertata violazione dell'accordo di fiducia.

Nel progetto, l'assistenza ed il sostegno fornito dalla Ricerca e dall'Università dovrebbe riguardare:

  • la individuazione delle scuole, secondo i criteri illustrati;

  • la formazione e l'orientamento degli insegnanti di tali scuole;

  • il sostegno e l'assistenza nelle diverse fasi esecutive del progetto;

  • la supervisione nell'assegnazione del certificato di qualità educativa.   

Nel Comitato dei Garanti del progetto dovrebbero essere inserite Personalità del mondo politico e culturale che si sono particolarmente distinte nelle politiche di tutela dell'infanzia, Esponenti dell'Associazionismo volontario che difende i diritti delle bambine e dei bambini (Telefono Azzurro, Associazioni di genitori, Tribunale dei minori, etc.) e Rappresentanti delle Istituzioni pubbliche.

 

4. Non rubate i sogni ai bambini: la sala giochi come topos pedagogico

La provocazione contenuta nel titolo del paragrafo vuole richiamare l’attenzione di tutti coloro che si occupano di educazione come genitori, operatori, studiosi, autorità politiche su un assunto semplice ma incontrovertibile della pedagogia sistemica: ciò che non forma, deforma. L’esperienza della sala giochi è un’esperienza che appartiene in modo massiccio al mondo giovanile, non solo delle attuali generazioni, ed ha costituito una fonte di preoccupazione di tanti genitori.

Si narra che Lord Byron, una volta abbia esclamato, rivolgendosi al “gentleman” che l’aveva battuto: “l’abilità al bigliardo è indizio di una gioventù male spesa”.Evidentemente nonostante gli inglesi ci abbiano regalato la cultura del fair play, lord Byron non aveva ancora imparato a perdere. Ma l’atteggiamento snob del poeta inglese sembra sintetizzare la posizione di molti intellettuali e di molti educatori, che davanti all’universo del gioco elettronico, di cui non conoscono e di cui, conseguentemente, non capiscono molto, preferiscono eludere la questione rifugiandosi in una posizione elitaria di difesa dei tradizionali canoni e territori culturali, che evidentemente conoscono e padroneggiano meglio.

Ma il fenomeno videogames è ricco di aspetti sociali, economici, psicologici, pedagogici: ancora di più, è un grande fenomeno culturale, e non può quindi essere “liquidato” facilmente. I fenomeni nuovi richiedono ricerca, sperimentazione, riflessione: bisogna guardarsi da atteggiamenti di semplice demonizzazione, come pure, all’inverso, di accettazione acritica.

Un intellettuale che non ha mai snobbato i fenomeni culturali nuovi e sono sicuro avrebbe dedicato ben altra attenzione ed intelligente curiosità è Gianni Rodari. Forse il suo approccio così capace di coniugare logica, fantastica, etica, estetica, avrebbe consentito quella misura di equilibrio critico e quella dose di apertura creativa di cui c’è bisogno per esaminare la dimensione dei videogiochi, salvaguardando gli enormi aspetti di interesse culturale di cui sono portatori e dando indicazioni per costruire quegli atteggiamenti critici, di cui, per la verità, c’è gran bisogno di fronte non solo nei confronti dei videogames ma anche, più in generale, di fronte ai problemi ed alle opportunità dei nostri tempi.

Il nostro tempo è segnato da sentimenti di grande insicurezza personale e collettiva. La psicologia sociale ci insegna che ciò è tipico delle epoche di crisi. In particolare le trasformazioni della famiglia ed i processi di nuclearizzazione e di frammentazione che l’hanno investita hanno generato consistenti fenomeni di ansia e stress che paralizzano gli atteggiamenti dei genitori nei confronti dei “rischi” veri o presunti che la vita propone nelle sue dimensioni quotidiane. E, di volta in volta, le occasioni che determinano preoccupazione ed allarme, che vengono ulteriormente enfatizzate dal sistema dei media, sono le discoteche, le sale giochi. Bisogna però essere capaci di staccarsi dall’emotività delle analisi contingenti, per inquadrare correttamente i problemi e porsi e porre interrogativi pertinenti che aiutino a trovare soluzioni agibili e valide.

Intanto: che tipo di esperienza si fa nella sala giochi? Come ogni ambiente, essa implica e veicola  ruoli,  attività e  relazioni interpersonali che occorre fare oggetto di analisi e studio rigoroso e coerente per trovare quelle misure organizzative, strutturali e metodologiche che la trasformino in “ambiente ecologico” denso di occasioni culturali e relazionali positive.  La relazione sociale non necessariamente deve essere povera e deprivante: alla relazione con la macchina che è, in qualche modo, anche una relazione con se stessi, si può, si deve aggiungere la relazione con gli altri con cui si può giocare in forme competitive e collaborative che la macchina può facilitare ma che comunque non esclude. La sala gioco potrebbe essere dunque ripensata come un luogo d’incontro in cui le dimensioni di competizione e collaborazione possono essere stimolate ed animate da specifici maestri di gioco a cui si potrebbe delegare la funzione di rendere le macchine solo “mezzi” ed “occasioni” di gioco con altri individui umani.

Come si vede l’esperienza emotiva a cui dà vita il videogioco, con i suoi processi di identificazione, di proiezione, di simulazione può essere orientata in modo tale da arricchire la gamma delle opportunità senza necessariamente dar luogo a forme solipsistiche di tipo autistico, consentendo inoltre un’esperienza cognitiva estremamente sofisticata, perché la struttura narrativa di molti dei videogiochi (basti ricordare che alcuni videogames sono stati ‘scritti’ da maestri del cinema) combinandosi con le loro dimensioni    multisensoriali ed  interattive  consente processi di coinvolgimento e di elaborazione paragonabili a quelli prodotti per le precedenti generazioni dai romanzi o dai prodotti cinematografici. In funzione di tali prospettive potrebbe cambiare anche il rapporto fra le sale gioco e la città.

Oggi, infatti, in conseguenza della cattiva fama di cui godono i videogiochi, esse sono luoghi marginali, che, inevitabilmente, producono emarginazione. Invece, potrebbero essere luoghi in cui trascorrere quote di tempo libero in maniera intrigante, magari in dimensione familiare o comunque sociale, in modo integrato con altre strutture e spazi di tipo culturale, ricreativo e sportivo.Del resto se, come è del tutto probabile, il tempo libero in futuro è destinato ad aumentare, è bene cominciare a pensare a come progettare spazi ed occasioni per la fruizione del tempo libero in maniera sociale ed in funzione creativa.

Certo le sale gioco vanno ripensate, anche da un punto di vista architettonico e strutturale, in modo molto diverso da quelle che conosciamo oggi. Esse potrebbero essere articolate in spazi funzionali a diverse tipologie e modalità di gioco e alle diverse tipologie di soggetti, ovviamente prestando un’attenzione specifica e particolare ai bambini ed alle bambine, in modo tale da garantire ad essi dei luoghi sicuri e divertenti per vivere l’emozione del gioco e dell’avventura, sottraendoli alle inibizioni ed alle deprivazioni che caratterizzano la loro condizione attuale, che sembra loro consentire solo esperienze eterodirette in ambienti chiusi. Chiusi in casa; chiusi a scuola; chiusi in auto: sempre richiesti di uniformarsi alle richieste degli adulti, impossibilitati ad agire qualsiasi esperienza in modo autonomo.

Forse sarebbe un utile compito per gli psicologi ed i sociologi quello di indagare i danni indotti da questo tipo di condizione, per il loro presente ed il loro futuro! Così come un compito per gli educatori di professione sarebbe quello di indagare quali sono gli effetti veri non quelli presunti dei videogiochi sui giovani o sui bambini. Noi l’abbiamo fatto nelle scuole elementari di Napoli est ed abbiamo potuto verificare che l’ora di “videogiochi” può essere uno strumento per conoscere aspetti nuovi delle potenzialità e delle personalità delle bambine e dei bambini: l’esperienza ci ha infatti dimostrato che i videogiochi possono diventare delle occasioni per disciplinarsi, per dar vita a nuove forme relazionali e per ristrutturare le gerarchie di competenza all’interno dei gruppi classe, offrendo agli alunni appartenenti ai ceti disagiati motivi nuovi per essere attratti dalle scuole.

Per altro proprio la situazione in Campania e nel Mezzogiorno richiede un intervento irrimandabile per non consegnare questo mondo che può essere vitale dal punto di vista economico sociale e culturale alle organizzazioni malavitose. La battaglia civile per la legalizzazione, la modernizzazione e la democratizzazione di questi territori, la necessità in essi di avviare operazioni che mettano l’accento sulla centralità del discorso delle regole non consente distrazioni o superficialità.

Allora proprio qui una nuova forma di collaborazione fra Istituzioni, scuole, famiglie, operatori del settore, sindacati ed organizzazioni imprenditoriali può dar vita a nuove iniziative e proposte: l’esempio dell’evoluzione delle sale cinematografiche e la creazione delle multisale può offrire il modello organizzativo-strutturale che faciliti la fruizione di esperienze contestualizzate, anche attraverso la creazione di sale di introduzione e di decongestione; l’idea del “maestro di gioco” può dar vita ad un nuovo profilo professionale contraddistinto da utilità non effimera; l’idea della patente di gioco o del marchio di affidabilità da attribuire ad ambienti e prodotti può contribuire a risanare e garantire i prodotti che circolano in un  mercato che è oggi sostanzialmente incontrollato.

Verso queste opzioni possono essere indirizzate ipotesi di formazione e di creazioni di opportunità economiche, che impieghino finalmente in modo utile le risorse che in modo consistente l’U.E. ha messo a disposizione delle aree depresse del Mezzogiorno, che finora soprattutto in Campania sono state utilizzate poco e male. I videogiochi, dunque, lungi dall’essere i nuovi fantasmi che devono agitare i nostri sogni, trasformandoli in incubi possono essere una straordinaria occasione per migliorare la qualità della nostra vita, del nostro conoscere, del nostro stare insieme.



[1] Vicepresidente della Fondazione Banco di Napoli per l’Assistenza all’Infanzia