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Prisco Vicidomini[1]

L’universo ludico elettronico

 

Per affrontare con una certa sicurezza le numerose problematiche relative al mondo dei videogiochi (siano essi da sala o da casa, per consolle o per PC) può essere utile tentare di contestualizzare (e magari circoscrivere, anche se parzialmente) l'argomento in questione. Questo breve intervento cercherà di dare un primo contributo in questo senso, illustrando la recentissima, ma a volte complessa, storia dei videogiochi e spiegando la corrente distinzione di "generi" tra essi che, come vedremo, potrebbero costituire il punto di partenza per addentrarsi in questioni teoriche di un certo spessore.

Una storia

L'assoluta caoticità che caratterizzò l'inizio dell'era informatica rende difficile anche "rintracciare" l'evoluzione di quello che, in meno di vent'anni, diverrà il bene di consumo più diffuso fra i teen-agers e che, negli ultimi cinque, sembra aver superato ogni confine legato all'età e al genere divenendo un bene massificato e di massa, la cui fruizione rimane soggetta soltanto a vincoli di natura economica.

Non esistono a tutt'oggi in Italia lavori che possano definirsi completi sulla storia dei videogiochi[2], le maggiori fonti quindi, oltre ai ricordi e agli articoli (alcuni irreperibili) pubblicati nel corso degli anni dalle sempre più numerose riviste specializzate, sono le stesse case produttrici, alcuni newsgroup dedicati all'argomento e ovviamente varie web pages che a vario titolo si occupano dei videogames.

La preistoria

Il primo utilizzo ludico di un calcolatore elettronico risale al 1953, quando nel corso di un'esposizione professionale un "mainframe" enorme era in grado di "simulare" un gioco chiamato Morpion. Non si hanno notizie precise del funzionamento o delle regole di tale prodotto, soprattutto perché l'intento ludico non costituiva il fine ultimo dei programmatori, che piuttosto sperimentavano la possibilità di aumentare il più possibile le capacità di calcolo di macchine che ancora erano relegate nel campo della ricerca, al limite della fantascienza.

La ricerca scientifica sul potenziamento della capacità di calcolo binario delle informazioni, porterà nel 1961 allo sviluppo di una macchina (grande, a quanto sembra, come un'intera stanza) in grado di "simulare" in modo testuale il gioco della dama. Queste prime manifestazioni ludiche legate al mondo dell'informatica possono quindi essere considerate a pieno titolo una sorta di "preistoria" dei videogames, un momento di fervente attivismo scientifico localizzato più che altro negli Stati Uniti, e più precisamente all'interno del già allora famoso Massachussets Institute of Technology, MIT, di Boston.

L'anno zero

E' il 1962 che per convenzione segna la nascita del primo videogame e quindi costituisce l'anno zero della storia dell'intrattenimento videoludico elettronico. Uno studente del MIT, Steve Russell "scrive" il primo software in grado di far interagire l'utente con la macchina: Spacewars.

Esso è un programma semplice capace di visualizzare sullo schermo una sorta di astronave che deve essere pilotata dall'utente, accendendo i motori, mantenendola "in orbita" ed evitando un numero sempre maggiore di "asteroidi". La grafica di questo gioco è naturalmente costituita da caratteri ASCII (siamo ancora lontani da "disegni" veri e propri) ed esso poteva essere fatto "girare" solo su macchine gigantesche, per la precisione su un mainframe modello DPDP-1 (Digital Programmed Data Processor - 1), il nuovo acquisto del MIT.

Spacewars non poteva quindi essere distribuito al di fuori del MIT, in quanto l'hardware necessario al suo funzionamento non aveva nessun tipo di diffusione di massa, a causa dell'elevato costo e delle enormi dimensioni. Esso rimane quindi un prodotto destinato alla pausa caffè dei giovani studenti di Boston, vagamente tollerato dai loro insegnanti.

Il primo videogioco nasce quindi "per gioco", nessuno immaginando la rivoluzione che avrebbe provocato da lì a dieci anni. La struttura del gioco oggi risulta di una semplicità quasi infantile, ma all'epoca la possibilità di interagire con una macchina, sfidando sé stessi o gli amici o i colleghi, rese questo piccolo programma una sorta di virus che piano piano attecchiva ovunque vi fosse un mainframe in grado di farlo "girare". Il gioco incarna tipicamente quelle che, all'epoca, costituivano le principali paure della nazione americana: un attacco spaziale da parte dei russi o, al limite, degli extraterrestri. Questo scenario da guerra fredda caratterizzerà, come già per la produzione cinematografica e fumettistica, la maggior parte dei videogiochi prodotti negli U.S.A. fino alla fine degli anni ottanta.

In quel periodo studiava al MIT Nolan Bushnell che nel 1971, dopo aver conseguito il diploma, decise di provare a trasferire Spacewars su macchine più piccole e "dedicate", cioè in grado di portare a termine solo alcune operazioni, in questo caso i calcoli necessari a pilotare la navicella.

Bushnell battezzerà questa nuova macchina[3] Computer Space. Dopo averlo installato nella camera da letto di sua figlia, Bushnell, assunto dalla Nutting Associates, cercherà di vendere la sua macchina alle sale da gioco, fino ad allora riempite solo di flipper e biliardi. Inizia l'era "arcade" e le monetine dei giovani americani si accumulano senza sosta nelle casse dei gestori di queste sale, spesso costretti a comprare più di una macchina per soddisfare tutte le richieste.

L'era Atari

A distanza di soli dodici mesi Bushnell costituirà una nuova azienda che produce esclusivamente questo tipo di macchine, il cui accattivante nome sarebbe diventato in breve addirittura una convezione temporale per distinguere il periodo precedente e seguente alla rivoluzione videoludica: l'era "ATARI".

L'ATARI si presenta sul mercato con un prodotto nuovissimo, un videogioco in cui sostanzialmente veniva riprodotto il ping - pong. I giocatori controllano, tramite manopole, due lineette verticali (racchette) con cui devono colpire un puntino luminoso che si muove da una parte all'altra del campo. Pong nel giro di pochi mesi diventa una vera e propria mania per i teen-agers americani che progressivamente abbandonano i flipper[4] e Computer Space per misurare la propria bravura al nuovo gioco.

Nel giro di due anni l'ATARI lancia sul mercato una nuova versione di Pong: una nuova macchina, considerevolmente più piccola, da collegare al televisore di casa[5] (forse questa è una delle prime sinergie significative tra il mondo della tv e quello dei videogiochi) per giocare a piacimento e senza spendere tutte le monetine necessarie in sala giochi. Nel 1974 la versione casalinga di Pong è il giocattolo più venduto negli Stati Uniti e i teen agers iniziano a dividersi tra i possessori di Home Pong e coloro che invece dovevano usare quello di un amico.

Nel 1975 sull'onda del successo di Home Pong la Magnavox[6] produce Odissey 200 una sorta di versione riveduta e corretta di Computer Space, che però aggiungeva al fascino del controllo di oggetti sul video, la possibilità di ascoltare i suoni e di registrare il punteggio ottenuto (la famosa tabella degli higher score). Quest'ultima caratteristica soprattutto si rivelerà una componente fondamentale dell'intero sistema sociale che si andava riorganizzando intorno a questi nuovi prodotti. Finalmente l'impegno impiegato a distruggere asteroidi o a colpire palline può essere ricompensato con l'iscrizione del proprio nome nella tabella dei punteggi migliori, che viene continuamente mostrata quando il videogioco non è impegnato. L'ego dei nuovi videogiocatori non è mai stato così alto.

L'era ATARI, cui abbiamo già accennato, inizia con il 1977 anno che deve essere ricordato soprattutto per la cosiddetta hardware plague, cioè la peste delle macchine. L'enorme successo ottenuto dalla versione casalinga di Pong[7], infatti, aveva dato vita, come spesso accade, ad un nuovo mercato subito infestato da centinaia di aziende più o meno professionali. Il proliferare di macchine essenzialmente simili e di qualità davvero infima, fece sì che il pubblico americano si disinteressasse alle varie offerte, lasciando tutti i nuovi tipi di console sugli scaffali dei negozianti[8]. La crisi di mercato che scaturì da questa situazione fu terribile e costrinse alla chiusura quasi tutte le aziende produttrici di console fondate negli ultimi due anni. Solo l'ATARI, ceduta nel 1976 da Bushnell alla Warner, grazie soprattutto ai capitali incamerati con le vendite di Home Pong, rimane sul mercato e nel 1978 dà il via a quello che può essere considerato il secondo momento della rivoluzione videoludica.

L'era arcade

L'ATARI lancia così sul mercato il VCS2600, un nuovo tipo di consolle che, come il Channel F della Fairchild[9], non ha nessun gioco preinstallato al suo interno bensì richiede l'inserimento di apposite cartucce contenenti i videogames. L'idea alla base di quest'operazione si rivelerà vincente, anche se di fatto nel 1978 non esisteva che un solo gioco in cartuccia (peraltro regalato con la macchina).

Tale gioco spesso viene considerato il capostipite dei videogiochi da casa perché, a differenza di Home Pong la sua nascita è legata al mercato dell'intrattenimento domestico. Si tratta di Space invaders, in cui ancora una volta il videogiocatore è al comando di una navicella spaziale che può solo scorrere da destra a sinistra e viceversa sulla parte bassa dello schermo. I nemici scendono dall'alto, riga per riga, aumentando progressivamente la velocità. Essi hanno forme caratteristiche e l'abbattimento di ciascuna forma diversa dà diritto a differenti tipi di punteggio (50, 100, 150 punti, etc.). Se gli invaders arrivano a terra (anche solo uno) allora game over. Le caratteristiche di questo gioco e la sua complessità rispetto ai prodotti presenti sino ad allora sul mercato danno vita a veri e propri fenomeni di videomania.

La videomania del 1978 è alla base della nascita dell'ACTIVISION, la prima software house della storia. Essa è un'azienda, costituita da programmatori dell'ATARI, che produce esclusivamente programmi per il VCS2600 e non hardware, una separazione di competenze che si rivelerà vincente. La simbiosi, o sinergia, tra ATARI e ACTIVISION può essere considerata una sorta di capostipite dei vari accordi di cartello che oggi legano, per esempio, la Microsoft alla Creative (produttrici rispettivamente di sistemi operativi e di hardware audio per PC).

Mentre ATARI e ACTIVISION si dividevano gli introiti del mercato casalingo dei videogames, la NAMCO, software house giapponese già presente sul mercato delle macchine da sala giochi, produce un gioco caratterizzato da colori sgargianti, struttura semplice e musiche accattivanti. In sostanza si tratta di un piccolo "esserino" giallo che deve mangiare tutte le palline arancioni presenti in un labirinto senza farsi toccare da "fantasmini" rosa, bianchi, verdi, rossi, anche se essi, quando diventano blu (conseguenza di un bonus "ingurgitato" dall'esserino), possono essere mangiati con un surplus di punteggio. L'anno è il 1980 e il gioco aveva l'evocativo nome di Pac-man.

Pac-man è probabilmente l'unico videogioco cui tutti i teen agers, dal 1980 in poi, prima o poi hanno dedicato parte del loro tempo e dei loro soldi. L'anno della sua pubblicazione coincide anche con il primo grande restyling delle sale giochi americane. Esse abbandonano le atmosfere di bettole fumose e pericolose per i ragazzini, inondandosi di luce, pulizia e colori rassicuranti (guarda caso gli stessi di Pac-man) conquistandosi l'approvazione delle famiglie americane e, ovviamente, nuove folle di ragazzini pronti a spendere la loro "sudata" paghetta per controllare l'esserino giallo e salvarlo dai fantasmini cattivi.

Il mercato dell'intrattenimento elettronico è una vera e propria miniera d'oro, così nel 1981 due aziende giapponesi, SEGA e NINTENDO, iniziano ad esportare negli Stati Uniti nuovi videogames che però non si allontanano eccessivamente dallo status di cloni, accattivanti certo, del bestseller Pac-man. SEGA e NINTENDO, in ottemperanza alle ferree leggi del mercato, si fanno una concorrenza spietata e iniziano a produrre anche hardware, cioè console, che hanno la caratteristica di riconoscere solo i giochi dell'una o dell'altra casa produttrice. In questo periodo quindi iniziano a sorgere i primi problemi di compatibilità tra macchine diverse, segno che il mercato è eccezionalmente florido e conseguentemente la lotta durissima. Più semplicemente i videogiochi della SEGA non possono funzionare sulle macchine della NINTENDO e viceversa. Una caratteristica che, a venti anni di distanza, è ancora non solo presente bensì anche distintiva del mercato attuale delle console.

Ma, tralasciando per un attimo la lotta spietata tra le due aziende del sol levante, la nascita di Pac-man segna anche l'inizio del declino dell'era ATARI, che, in una sorta di parallelismo capitalista, si chiude con una crisi simile a quella che ne aveva segnato l'alba: nel 1983 il mondo dei videogames assiste alla prima software plague.

La peste del software

Esattamente come sei anni prima, l'enorme numero di "cartucce" per console, tutte cloni l'una dell'altra, immesse sul mercato provocano una disaffezione all'acquisto nei consumatori, costringendo al fallimento un gran numero di aziende che proprio sull'emulazione di bestseller come Pac-Man fondavano la loro esistenza.

Fino al 1986, il mercato dei videogiochi subisce una battuta d'arresto e solo alcune grandi software house come la Nintendo, la Sega e, ovviamente, l'Atari riescono a rimanere in qualche modo sulla piazza, dedicandosi alla sperimentazione e al potenziamento delle console esistenti. Nel 1986 vengono prodotte le prime macchine a 8 bit, in grado cioè di processare più informazioni in minor tempo e quindi gestire animazioni più ricche di colori e più complesse. Nel 1986, dopo un anno di ricerche di mercato, la Nintendo produce il suo Entertainment System, il NES, corredato da un videogame che tuttora è considerato un piccolo capolavoro: SuperMario Bros.

Il gioco ha una grafica accattivante e un personaggio facilmente riconoscibile, l'idraulico con la tutina rossa[10], che contribuirà al processo di fidelizzazione degli utenti al NES e renderà il nuovo prodotto della società giapponese il bestseller di Natale. Nello stesso anno la Sega metterà in commercio il Sega Master System, sostanzialmente la stessa macchina della Nintendo con architettura e software diversi. La guerra tra le due case continua e si inasprisce, passando dalle aule di tribunale agli scaffali dei negozi attraverso i corridoi delle varie sale giochi.

L'Atari viene quasi del tutto esclusa dal mercato delle console nonostante la produzione di una nuova macchina, la 7800, che però non riesce a competere con i due "sistemi di intrattenimento" delle case giapponesi. Nel 1988 la Nintendo mette a segno un altro colpo sulla concorrenza, producendo un videogame abbastanza violento dal nome di Fighting Street, poi tramutato in Street Fighter. Si tratta del primo "picchiaduro" della storia dei videogames e inaugurerà un nuovo periodo di scontri giudiziari e di mercato tra le due major dell'intrattenimento elettronico. Nel 1989 appare il Gameboy, piccolo videogame da tasca che in un certo qual modo eredita la funzione dei più vecchi "scacciapensieri" (in USA see and play) che molti di noi hanno avuto per mesi tra le mani. Il gameboy non è altro che una console di dimensioni ridotte, funzionante a cartucce. Il primo gioco per il nuovo prodotto è ovviamente Super Mario, ma nel giro di pochi mesi ad esso si affiancherà Tetris, il cui successo continua tutt'oggi. L'ATARI esce sconfitta dall'ennesima battaglia legale con la Nintendo, proprio sulla questione dei diritti di Tetris, e probabilmente proprio in questi anni inizia l'inesorabile declino della prima azienda produttrice di videogiochi.

Storia contemporanea

Fino al 1992 il mercato è assolutamente dominato da Sega e Nintendo che continueranno ad apportare migliorie tecniche ai loro prodotti, aumentando la potenza dei processori e la disponibilità di memoria nelle macchine. Dal 1992 in poi l'enorme diffusione dei personal computer renderà la situazione più complicata, con la nascita di vere e proprie software house dedicate esclusivamente ai videogiochi per PC. La situazione oggi è caotica, i prodotti di intrattenimento videoelettronico hanno raggiunto un numero davvero elevato e continuamente in crescita. Fusioni, holding, sinergie di vario tipo rendono davvero difficile identificare un percorso chiaro in grado di dare conto dello sviluppo attuale del mercato dei videogames. I limiti di questo intervento peraltro ci impongono di arrestare il nostro veloce excursus dedicato alla contestualizzazione dei videogames proprio al momento in cui la loro storia si affaccia alla contemporaneità, e rimandiamo quindi alle fonti continuamente aggiornate che si trovano nei riferimenti bibliografici per ogni ulteriore approfondimento dell'argomento.


Space War 1962



 


 

Una definizione di genere

In qualunque negozio di videogames o in qualunque rivista, più o meno specializzata, i prodotti elettronici sono divisi per genere; una distinzione che, pur nascendo da precise esigenze di mercato legate al marketing del prodotto, è assolutamente necessaria in una riflessione attenta sul fenomeno "videogiochi".

Azione

La varietà più ampia del mercato dei videogiochi è quella dedicata ai prodotti di "AZIONE". Si tratta sostanzialmente di titoli che richiedono di rispondere a stimoli visivi più o meno immediati con azioni fisiche (minime naturalmente) adeguate. Tra le sottodefinizioni di genere applicate ai giochi di azione la più diffusa fino a poco tempo fa era quella relativa ai giochi "a piattaforme a scorrimento". 

Essi presentano, solitamente, un personaggio-vettore che si muove da sinistra a destra (nei casi più complessi utilizzando anche la direttrice alto/basso) evitando ostacoli o eliminandoli; in questi videogiochi le armi servono più che altro a distruggere ostacoli, anche se molto forte è la componente violenta esplicita ma edulcorata da colori e forme rassicuranti e allegre. Abbiamo così i "giochi a scorrimento orizzontale" (Super Mario); di "inseguimento nei labirinti" (Nibbles il serpentone); "di arrampicata su piattaforme" (Donkey Kong); "gli sparatutto" (moltissimi titoli, legati anche a nuovi tipi di macchine in grado di ricevere stimoli da un cannoncino ottico a forma di pistola o UZI); i "picchiaduro" (Mortal Kombat, Street Fighter), di cui riparleremo oltre.

Negli ultimi anni l'attenzione degli ideatori e sviluppatori di software per l'intrattenimento si è concentrata sulla possibilità di far convergere su un solo titolo le varie modalità suddette. I nuovi motori grafici, in grado di restituire visivamente ambienti tridimensionali, hanno reso sicuramente più facile questo tipo di operazione, rendendo accattivanti titoli che, a causa di un'eccessiva confusione di "stili" e di "genere", sono caratterizzati da una "giocabilità" (a mio parere, principale metro di giudizio per un videogame) abbastanza discutibile.

Questo tipo di prodotti sono anche quelli che più ripropongono personaggi e storie propri di altri contesti, soprattutto di matrice cinematografica, sfruttando quindi la notorietà di prodotti propri di un dato medium (il cinema ad esempio) per splendide operazioni di marketing. Per esempio, possiamo citare titoli come Batman returns, Die Hard, Terminator e tutti quelli legati ai personaggi dei film Disney.

Il macrogenere "azione" quindi ha subito una progressiva perdita di caratteristiche specifiche, risultando spesso una mera etichetta commerciale che nasconde audaci operazioni di merchandising e, tranne che in pochi fortunatissimi casi, non offre più grandi innovazioni dal punto di vista strettamente ludico

Adventure

Nella comune classificazione dei videogames, uno dei "generi" più popolari negli ultimi anni è quello etichettato "ADVENTURE". I giochi adventure sono essenzialmente dei rompicapo basati sull'esplorazione di ambienti al fine di trovare, e recuperare, determinati oggetti necessari alla soluzione di enigmi o indispensabili per "passare" all'ambiente successivo.

Il primo titolo classificabile come adventure è l'ormai classico Zork. Per essere precisi Zork era un adventure testuale, cioè il giocatore doveva semplicemente leggere un racconto in cui, di volta in volta, poteva scegliere cosa fare (ad esempio: "gira a destra o a sinistra", "apri", "prendi") digitando il comando corrispondente (solitamente proprio il verbo, es. turn, open, take) sulla tastiera. Nel caso in cui tutte le scelte fatte si fossero rivelate giuste, si arrivava alla conclusione, quindi alla "soluzione" del gioco.

Zork è riuscito a raggiungere i giorni nostri, passando attraverso varie trasformazioni strutturali e grafiche e approdando all'ultima versione in ambiente 3D, che per alcuni mesi è stata un bestseller tra i titoli del genere. Bisogna infatti ricordare che spesso i videogiocatori sono soggetti a particolari forme di affezione a determinati titoli che garantiscono ai produttori una base di vendite costante ed è proprio questo fenomeno che, in un economia di mercato, permette alle software house di sperimentare su titoli di sicuro piazzamento merceologico nuovi motori grafici o interfacce complesse che costituiranno la struttura di titoli completamente nuovi e originali.

Oggi i produttori di videogames adventure prediligono l'utilizzo di racconti in prima persona (Zork era in terza persona), grazie anche alla possibilità di utilizzare motori grafici molto sofisticati, in cui bisogna esplorare un ambiente estremamente ampio e dettagliato al fine di venire a capo di un "mistero" iniziale. La soluzione è raggiungibile solo grazie al superamento di numerose problem solving activities, che spaziano da semplici crittografie o puzzle a veri e propri problemi di organizzazione dei movimenti e degli oggetti nello spazio.

In alcuni casi ci sono anche degli avversari da eliminare ma bisogna sottolineare che l'impegno manuale richiesto dagli scontri "fisici" (premere i tasti in fretta per picchiare il più possibile, o "mirare" con attenzione utilizzando il mouse o il joypad) spesso va a discapito della trama iniziale (si veda ad esempio la serie Alone in the Dark) in quanto "distrae" dalle attività puramente mentali caratteristiche dei titoli di questo genere.

Microgeneri

Una volta individuati questi due macrogeneri, dobbiamo soffermarci per fare delle distinzioni su alcuni micro-generi estremamente diffusi nel mercato dei videogiochi. Nella macrocategoria dei giochi di azione spicca, per la popolarità riscossa tra i teen-agers della metà degli anni novanta, un particolare tipo di videogame denominato "PICCHIADURO". Sostanzialmente ci troviamo dinanzi a "fumetti" (solitamente dal tratto marcatamente nipponico) in movimento, in cui i vari personaggi sono impegnati in una serie di combattimenti più o meno simili alla disciplina del kickboxing caratterizzati da elementi cruenti e sanguinosi e da mosse tanto spettacolari quanto irreali.

I titoli più famosi di questa categoria (Street Fighter e Mortal Kombat) devono la loro popolarità ad una caratterizzazione molto approfondita dei personaggi. Ognuno di essi ha infatti, non solo una storia "singolare" alle spalle, ma anche un corredo di "mosse" personali più o meno adatte in particolari situazioni. Per far sì che il personaggio in questione compia queste mosse sullo schermo il giocatore reale deve padroneggiare una serie di combinazioni di tasti (solitamente tre o quattro) e di movimenti del joystick estremamente complessa (ad esempio la sequenza: spostare il joystick in avanti premendo i tasti A e B, poi subito indietro e in basso premendo il tasto C, rilasciando infine i tasti e il joystick nel momento più adatto a compiere quel particolare movimento).

Proprio questa complessità fa sì che, una volta raggiunta la completa competenza nelle "mosse" personali di un personaggio, il giocatore prediliga sempre quello cercando di spostare sempre più in là i limiti fisici che regolano la velocità dell'esecuzione delle varie combinazioni assicurandosi così la possibilità di mettere a segno colpi speciali a ripetizione e "umiliare" l'avversario non solo battendolo ma non dandogli nemmeno il tempo di reagire.

Questo tipo di prodotti richiedono sempre una coppia di giocatori, che possono quindi essere due players in carne e ossa, oppure un player ed il computer. Quando si incontrano due amici che padroneggiano alla perfezione le mosse "singolari" del personaggio prescelto (che di solito non cambia nel corso della "vita" videoludica) e decidono di scontrarsi, lo spettacolo è assicurato ed il combattimento di solito termina per un cedimento fisico del polso di uno dei due che dà la possibilità all'altro di mettere a segno una sequenza di colpi "definitiva".

Tali caratteristiche, che sarebbero degne di uno studio sicuramente più approfondito, hanno sancito la predominanza di questo tipo di titoli nel corso della metà degli anni novanta, fino a rovesciare la contaminazione classica, cui avevamo accennato già sopra, tra cinema e videogiochi. In questo caso infatti è il cinema a prendere spunto dal titolo elettronico, ed è proprio dalla trasposizione cinematografica di Mortal Kombat e di Street Fighter che hanno preso il via fenomeni di contaminazione tra i due settori che oramai hanno raggiunto livelli di indistinguibilità e complessità davvero notevoli.

I picchiaduro hanno avuto un successo incredibile soprattutto nelle sale giochi, dove le macchine sono in grado di sopportare sollecitazioni "fisiche" maggiori rispetto alle "periferiche" dei computer casalinghi. Allo stesso modo, nelle sale giochi, continua a "spopolare" (con una vena un po' nostalgica dal punto di vista grafico) un sottogenere della categoria adventure: i rompicapo puri.

La differenza principale tra questi due tipi di prodotti sta nel fatto che nei rompicapo gli esercizi logici (basati spesso sulla velocità del rapporto tra riconoscimento del problema, decisione e azione corrispondente) sono il fine ultimo del gioco e non un mezzo per giungere ad una conclusione. Tetris è il capostipite di questo filone che, per inciso, sembra attrarre in modo particolare il pubblico delle teen-agers di sesso femminile dando vita ad una distinzione di genere degna di ulteriori riflessioni e approfondimenti cui speriamo siano dedicati lavori successivi.

RPG

A proposito di contaminazioni tra vari settori del mercato dell'intrattenimento, dobbiamo introdurre un altro "genere" molto diffuso nel mercato dei videogames: i Role Playing Games. Questa particolare serie di titoli nasce direttamente dai giochi da tavolo popolarissimi negli U.S.A. durante gli anni settanta.

Essi presentano una storia di background (di solito raccontata con bellissime introduzioni animate prima del gioco vero e proprio) di cui il gioco costituisce i capitoli finali. Quindi il giocatore viene calato in un'epoca particolare, dallo stile tipicamente fantasy, in cui è chiamato a risolvere una situazione "drammatica" (di solito si tratta della "classica" lotta tra il bene ed il male, giunta al punto in cui il male sta per avere la meglio) interagendo con l'ambiente e con i personaggi che incontra nel suo cammino. Insomma una vera e propria quest tipica dei romanzi fantasy, come ad esempio Il signore degli anelli di J. R. Tolkien, in cui l'eroe va alla ricerca dell'antieroe malvagio incontrando vari ostacoli, ma anche vari alleati, lungo la sua strada.

Le tipologie di personaggi da impersonare sono molteplici (in un'ottica di correctness spesso ridicola ed eccessiva, ad es. il mago e la strega, il cavaliere e l'eroina, lo gnomo e la fata, etc.) ed ognuno ha delle caratteristiche proprie che, spesso, lo rendono superiore nel superamento di alcuni ostacoli e assolutamente indifeso dinanzi ad alcuni oppositori. Infatti spesso l'unico modo per concludere con successo questi giochi è costituire un gruppo eterogeneo di personaggi in grado di sopperire l'uno alle mancanze dell'altro. Ovviamente la modalità multiplayer è la più diffusa, ma è possibile anche per un giocatore singolo "governare" a turno i vari personaggi.

Nei role playing games classici gli scontri non sono regolati dall'abilità manuale dell'utente bensì da complessi calcoli matematici che prendono in considerazione "punti" di esperienza, "quantità" di danno assorbibili, "punti" di attacco, etc., e di solito hanno una struttura a turni. Ultimamente, grazie all'evoluzione tecnologica dei processori e dei motori grafici, la struttura a turni è stata sostituita da una caratterizzata dall'azione in tempo reale, cioè, per esempio, l'avversario decide e compie le sue mosse contemporaneamente al giocatore. In questo modo ovviamente il giocatore è costretto a mantenere livelli di attenzione più elevati ed è costretto a decidere più in fretta. Per questo gli amanti del genere, abituati a far trascorrere anche intere giornate prima di decidere una mossa particolarmente difficile o importante, sono tuttora restii alle nuove produzioni che in effetti "alterano" lo spirito originale del gioco.

La recente diffusione di Internet sembra offrire nuove possibilità a questo tipo di gioco che iniziava ad assumere (nonostante l'accuratezza grafica) toni un po' retrò e spesso restava a lungo sugli scaffali dei negozi. Si stanno sviluppando vere e proprie comunità virtuali, in cui i vari giocatori (ovviamente dello stesso titolo) possono giocare contemporaneamente anche se ad enorme distanza tra loro. Sicuramente il futuro degli RPG è nascosto nelle varie pieghe del World Wide Web, come dimostrano la recente commercializzazione di titoli cui non si può giocare se non on-line. In Italia questo fenomeno stenta ancora a decollare per l'eccessivo costo telefonico dei collegamenti ad Internet (che non permette di trascorrere ore a decidere le mosse da compiere) e all'inadeguatezza dei collegamenti che permettono all'utente comune di entrare in rete (se sto giocando collegato con un modem a 56.6 kbps, se non addirittura a 33.6 kbps, è probabile che non mi renda nemmeno conto di essere stato colpito da un avversario collegato con una cable connection o con una linea ISDN o ASDN).

Simulazione

L'estremizzazione del concetto di simulazione nei videogiochi adventure o RPG ha dato vita ad un nuovo genere di titoli: i giochi di simulazione, appunto. In questo caso, come per i rompicapo, la simulazione è il fine ultimo del gioco e non un mezzo per "rendere" interattivo un particolare ambiente grafico o per raggiungere un fine intermedio nel percorso che porta alla soluzione del gioco.

Naturalmente in questa categoria deve essere citato Sid Meyer, il creatore di Sim City, il primo videogame in cui il giocatore deve semplicemente (!) impersonare il sindaco di una città e garantirne il progresso e lo sviluppo prendendo di volta in volta decisioni che possono anche non avere un effetto immediato (costruire una rete idrica estesa, investire nella costruzione di parchi, etc. etc.), e poi ammirare la crescita della popolazione, quindi delle entrate fornite dalle varie tasse, che renderà necessarie nuove forme di investimento.

Questo tipo di giochi possono avere un goal da raggiungere (una popolazione di 50.000 abitanti per esempio) ma di solito gli amanti del genere preferiscono selezionare l'opzione "senza fine", in modo da continuare a giocare fino all'uscita del nuovo affascinante videogame (si pensi che Sim City, nelle sue varie evoluzioni è tutt'ora un bestseller anche se ha già parecchi anni di vita sulle spalle).

Sport e Strategia

Gli scaffali dei negozi e le library dei videogiocatori, negli ultimi dieci anni, si sono arricchiti di nuovi titoli legati principalmente al mondo dello sport, tanto che quella che sostanzialmente è una combinazione di azione e simulazione oramai è considerata una vera e propria categoria di videogiochi, costituita soprattutto da bestseller: i videogames sportivi.

Basati sulle regole degli sport più famosi, sono solitamente sponsorizzati da famosi personaggi dello star system sportivo ma ultimamente anche i commentatori televisivi hanno il loro momento di gloria videoludica. Le loro voci registrate commentano le azioni e aumentano il "coinvolgimento/distacco" del giocatore che ad un tempo è "giocatore e spettatore di sé stesso".

Infine bisogna menzionare la categoria dei giochi di strategia. Essi si basano sulla capacità di organizzare le proprie azioni in vista di un fine ultimo. La maggior parte sono giochi di guerra, in cui bisogna prendere le parti di una o l'altra di fazioni contendenti (nordisti e sudisti, nazisti e alleati) e compiere varie missioni cercando di ottenere il risultato migliore subendo il numero minimo di perdite.

Da Populous in poi fino al recentissimo Age of Empires II il player diventa invece una sorta di "Dio/condottiero", che deve guidare l'evoluzione della civiltà prescelta. Solitamente sono estremamente ripetitivi ed una volta capito il meccanismo si riescono a finire molto in fretta fino a raggiungere il livello "impossibile", cioè quello in cui o si è davvero una mente superiore o si usano i vari trucchi, cheats e codes.

 

Una conclusione

Questi brevi cenni di storia dei videogames ci conducono naturalmente verso due conclusioni di un certo rilievo.

Innanzitutto è oramai necessario considerare i videogiochi come veri e propri testi mediatici e di questo bisogna tenere conto ogni qual volta ci si accosti ad un videogioco e si tenti di analizzarne le implicazioni sul piano sociologico o educativo.

In secondo luogo bisognerebbe iniziare a riflettere anche sul punto di vista specifico dei giocatori, nel momento in cui essi si rapportano al prodotto (non dimentichiamo che il primo videogame è nato appunto "per gioco"). Ed è interessante sottolineare come nelle analisi finora compiute i giocatori vengano considerati come "individui" in relazione univoca con il medium (il videogioco), mentre per esempio gli utenti televisivi vengono considerati audience, cioè, in qualche modo, un gruppo compatto e con caratteristiche individuali molto poco determinate.

Sarebbe necessario portare più avanti questa riflessione. Negli ultimi anni infatti i videogames (o almeno alcuni tipi) sono utilizzati sempre più comunemente on-line, come abbiamo visto, di conseguenza i giocatori tendono sempre più a formare delle vaste comunità con sentimenti di appartenenza molto forti.

Da questo punto di vista, questo modello di utenza somiglia sempre più alle prime concettualizzazioni dell'audience radiofonica e televisiva. Di conseguenza si aprono nuovi spazi per l'analisi e la riflessione sul pubblico dei videogiochi, (studi sulle differenze di genere o d'età, ad esempio) che potrebbero costituire, a mio avviso, un ottimo punto di partenza per esperimenti di didattica o di ricerca su questo ormai pervasivo mezzo di comunicazione di massa.

 

Riferimenti bibliografici

 

Bloom S., Video invaders, Arco Publishing, New York 1982

Costa N., Automatic pleasures. The history of the coin machine, Kevin Francis, Londra 1988

De Coster M. - Pichault F., Le loisir en quatre dimensions; de la critique des théories à la formation d'une sociologie, Ed. Labor, Bruxelle1985

Dominick J.R., Videogames, television violence and aggression in teenagers, in “Journal of Communication”, 1985, 34(2), pp. 136-147

Ellis D.,  Video arcades, youth and trouble, in “Youth and Society”, 1984, 16 (1) : pp. 47-65

Herz J., Il popolo del joystick, Feltrinelli, Milano 1998

 

Riferimenti elettronici

 

http://memling.rug.ac.be/games/games.html

 

http://www.videotopia.com/

 

http://www.atari-history.com

 

http://www.classicgaming.com

 

http://videogames.org/

 

http://www.icwhen.com

 

http://www.cyberramp.net/~badger/ClassicArcade/index.htm

 

http://www.allaboutgames.com

 

http://www.pacman.com/

 


[1] Università di Siena

[2] Non mancano comunque interessanti contributi che, come in questo caso, possono fornire spunti o riempire quei mille piccoli gap che si incontrano in un lavoro del genere. Ho cercato di elencare alla fine di questo intervento le principali fonti sia cartacee che elettroniche cui ho fatto riferimento, premettendo che nessuna di esse può evidentemente definirsi completa e che rimane quindi assolutamente necessario un costante lavoro di confronto e sintesi, di cui questo scritto costituisce un esempio, seppur parziale e in qualche modo limitato. 

[3]  E' interessante notare come ancora non esista una netta distinzione tra l'hardware e il software e quindi i videogiochi e le macchine necessarie per farli "girare" hanno la stessa denominazione essendo considerati come un prodotto unitario.

[4] Se si pensa che per anni il gioco del flipper, oltre a servire come passatempo, era spesso un mezzo per entrare nell'età adulta, assieme al consumo di birra e sigarette, e un modo per dimostrare alle ragazze una sorta di virilità finalmente acquisita (esso infatti era prettamente un passatempo maschile), si può facilmente capire la portata rivoluzionaria del nuovo gioco.

[5] Esperimenti in questo senso erano comunque già stati portati avanti sin dal 1966 da un ingegnere americano, Ralph Baer, che nel 1971 venderà la sua invenzione (chiamata Odissey) alla Magnavox, una nascente videogame company, impegnata già da un anno allo sviluppo di videogiochi "da casa".

[6] Cfr. nota 4.

[7] Home Pong, del 1974, che nel natale del 1975 diventerà un bestseller grazie ad una joint venture tra l'Atari, ancora guidata da Bushnell, il capitalista Don Valentine, e la Sears Roebuck, la più grande azienda di distribuzione americana.

[8] L'unica eccezione è costituita dal Channel F della Fairchild, una macchina in grado di far girare Home Pong e altri primitivi videogames sullo stesso supporto semplicemente cambiando una grande cartuccia gialla.

[9] Vedi nota 7.

[10] La prima apparizione di Mario in un videogame risale al 1981, quando in un prodotto dell'Atari, Donkey Kong, siamo alle prese con un buffo omino in tuta da idraulico che deve salvare la "bella" dallo scimmione arrabbiato.