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Fulvio Iannucci[1]

 

Va dove ti porta il copy

 

Goldrake o Mazinga? Questa era una domanda ricorrente quando ero poco più che adolescente. Goldrake e Mazinga erano i beniamini di tutti i ragazzi della mia generazione. Entrambi paladini del bene e dotati di superpoteri e armi fenomenali, seppur diversi. Sentimenti pari ed armi pari, quindi. Ognuno di noi, per un motivo o per un altro, ne preferiva uno, eppure nel loro epico scontro (una puntata in cui Goldrake e Mazinga furono costretti al faccia a faccia) è stato difficile “scegliere” quale dei due sostenere.

Tale imbarazzo lo riviviamo quotidianamente quando assistiamo all'incontro/ scontro di prodotti appartenenti allo stesso settore merceologico che sfoderano armi uguali, ma sempre diverse; ci stupiscono con suoni e colori, confezioni invitanti e visi sorridenti. Contrariamente a quanto avvenne per Mazinga e Goldrake, il cui destino era già scritto nelle stelle, adesso siamo noi a decidere chi vincerà la battaglia. I prodotti sono tutti disposti ordinatamente, pancia in dentro e petto in fuori, sugli scaffali dei supermercati o del negozio sotto casa e ogni volta che qualcuno gli si avvicina pensano: “Speriamo che scelga me, speriamo che scelga me!”, augurandosi che il tanto agognato assenso si trasformi in un “Sì” per la vita. Ma da cosa è condizionato il nostro tanto desiderato “Sì”? Ovviamente dalla pubblicità che viene fatta sul prodotto.

La pubblicità, signora e schiava di imprese, prodotti, persone, ci martella con la sua presenza costante ed impossibile da evitare: in tv, per radio, sulla carta stampata e ad ogni angolo di strada. Tenta di convincerci, commuoverci e di farci “cadere in tentazione”, di farci percepire come necessario ciò a cui invece potremmo tranquillamente rinunciare. L'unico problema è che tutti i prodotti si scontrano sullo stesso campo e combattono accanitamente: insomma tutte le pubblicità finiscono col dire le stesse cose. C’è chi le dice meglio, c’è chi le dice peggio e chi, non sapendo come dirle, le dice cantando (secondo uno dei grandi principi della pubblicità: “Se non avete nulla da dire, cantatelo”).

Volendo considerare la pubblicità come “Ars Oratoria” dei prodotti, perché non considerare un punto di vista alternativo? Invece di andare in Grecia a scomodare lo Stagirita, io proporrei di considerare il punto di vista di un principe del foro nostrano: Cicerone.

Nel De Oratore Cicerone codifica la struttura dell'ottima orazione. Per arrivare ad un ottimo risultato bisogna rispettare un iter composto dalle seguenti fasi:

Inventio: ovvero il reperimento degli argomenti;

Dispositio: ovvero la sequenza in cui verranno presentati gli argomenti;

Memoria: eh sì, perché allora non si usava leggere i discorsi!

Actio: costituita da:

- elocutio: che include la grammatica e la dizione e che viene solitamente considerata “il bel parlare”

- pronuntiatio: ovvero esposizione con la voce, con la posa, con il gesto, con i movimenti del corpo.

Nell’Orator, Cicerone riprende le tematiche del De Oratore, e disegnando il ritratto dell’oratore ideale, sottolinea i tre fini cui tale arte deve indirizzarsi:

- probare: prospettare con argomenti validi, quindi sinonimo di convincere;

- flectere:  muovere le emozioni attraverso il pathos;

- delectare: intrattenere, interessare, divertire.

Probare e flectere, convincere e commuovere, sono già stati abbondantemente sfruttati dagli addetti ai lavori. Tutte le pubblicità dei detersivi, ad esempio, continuano a farci entrare nei tessuti per dimostrarci la capacità di andare direttamente al cuore del problema, formaggi che filano e fondono esattamente mentre noi diciamo “fila e fondi”, l'acqua che rende belli perché purifica facendoci fare tanta “tin tin”, e se poi ad offrirci un Campari Soda è Eva Herzigova non si può che dire “Sì!”.

Per non parlare poi delle pubblicità che tentano di commuoverci ... Cosa dire dei bambini dai faccini (e dai culetti) sorridenti, del famoso papà che si ritrova un pezzo di semola di grano duro altrimenti identificato come “Fusillo n.” Barilla, oppure come dimenticare la bambina che sotto la pioggia si ferma per raccogliere un gattino mentre la mamma (santa) l’accoglie amorevole e un po’ preoccupata, invece di darle una sonora sgridata (come ogni mamma che si rispetti) e rimandarla sotto la pioggia a depositare il micio lì dove lo ha trovato!

Per non parlare della schiera di detergenti e saponi che sfruttano l’immagine di bambini perché, si sa, a loro non si può resistere, fanno tenerezza, insomma bisogna sfruttarli al massimo. Oppure, i cuccioli che fanno disastri come si muovono e porterebbero all'esasperazione chiunque. E invece no! Loro attirano solo coccole e carezze.

Insomma, non se ne può proprio più! Ma se il messaggio alla fine è uguale per tutti i prodotti che appartengono ad un determinato settore merceologico, perché non adottare la terza arma ciceroniana, la delectatio? Perché non fare divertire questi poveri consumatori che vengono bombardati da immagini concorrenti da quando si svegliano a quando vanno a dormire?

Probatio

Nel campo dei convenience goods - beni di largo consumo, che hanno delle alternative considerate perfettamente fungibili, acquistati con una certa regolarità, con un costo non elevato ed il cui acquisto non è assolutamente problematico – lo scopo della pubblicità è aumentare la quota di mercato del prodotto considerato. Per poter fare ciò è necessario convincere i consumatori della superiorità del prodotto in questione rispetto a tutti gli altri appartenenti alla stessa categoria merceologica. Negli anni ‘40 Rosser Reeves ideò la Unique Selling Proposition (U.S.P.).  La U.S.P. è divisa in tre parti:

1. Ogni campagna pubblicitaria deve proporre un beneficio per il consumatore. Ogni singolo annuncio deve comunicare: “Compra questo prodotto ed otterrai questo specifico beneficio”.

2. Deve essere un beneficio che la concorrenza non può o, di fatto, non offre. Deve essere unico, sia che si tratti di un’esclusività del prodotto o di un’affermazione che non viene comunque usata in quel particolare settore merceologico dalla pubblicità.

3. Il beneficio deve essere così forte da poter spingere milioni di consumatori all’acquisto, in altre parole portare nuovi clienti al prodotto.

La U.S.P. trova la sua validità solo nella giustificazione della promessa: ed ecco apparire sulla scena la Reason Why. Queste signore della pubblicità hanno costituito lo schema base degli spot. Ad infliggere il colpo di grazia al consumatore è la Supporting Evidence, la caratteristica più evidente della Reason Why, quella che fornisce gli elementi per una dimostrazione visiva delle caratteristiche del prodotto.

Negli spot vengono usate varie armi: superiority statement, side by side, demo, torture test, testimonial, endorsement.

Il superiority statement consiste nell’usare figure retoriche che contengono una falsa comparazione oppure nel dichiarare di essere “i primi” o “gli unici”.

Nel side by side, vengono presentati due prodotti che risolvono lo stesso problema: il nostro prodotto ed un concorrente anonimo e inevitabilmente si dimostra che il prodotto in questione è il migliore.

Il demo è la dimostrazione tecnica della superiorità del prodotto in cui la concorrenza ha sempre la peggio ed in cui viene periodicamente annunciato un miglioramento del prodotto (improvement).

Il torture test è lo spettacolo con le caratteristiche tecniche del prodotto.

Il testimonial è un personaggio famoso che fa pubblicità al prodotto. Può anche essere gente comune. Arma efficacissima è fare in modo che il messaggio venga annunciato da una fonte attendibile. L’attendibilità della fonte influisce moltissimo sugli acquisti dei consumatori, i quali ritengono che sia molto meglio farsi convincere da chi ha attinenza con il prodotto pubblicizzato. L’attendibilità della fonte è garanzia di qualità. Considerato che la pubblicità veicola soprattutto valori, è necessario che nel momento in cui viene lanciato un messaggio, a lanciarlo sia qualcuno che riscuote il consenso pubblico e che sia ritenuto un “intenditore”. Bisogna fare molta attenzione nella scelta del testimonial, perché verrà sempre associato al prodotto, e quindi un’ immagine negativa si rifletterà direttamente sul prodotto.

Possiamo distinguere fra testimonial e influente: al testimonial viene attribuita specifica competenza sull’oggetto della comunicazione, mentre l’influente è colui che presso la audience gode di un generico goodwill o una autorevolezza basata sul carisma di chi partecipa allo star system. L'endorsement è la presentazione del prodotto fatta in modo autorevole da un esperto in materia.

A questo punto possiamo considerare alcuni spot.

 

Dixan.

La scena si svolge in una casa con giardino. Al sole è steso il bucato appena fatto, ma la signora non è soddisfatta. Infatti sulla tovaglia bianca è rimasta una macchia di cioccolato della torta. In soccorso della gentil dama arriva un noto attore (Andrea Giordana, con tanto di barba) che offre alla signora un viaggio alle Maldive… all'interno della tovaglia. Dove il cioccolato ha fatto veramente presa e non c'è altro modo per farlo andare via che usare Dixan.

Ovviamente senza dimenticare di dire che oggi Dixan ha più forza blu, quella che dà un pulito perfetto. Insomma la tovaglia dopo essere stata lavata con questo ineguagliabile prodotto è tornata più bianca di prima e… rieccolo che ci riprova con la signora, offrendole un altro giro nella tovaglia. Questa volta però del cioccolato neanche l'ombra! Lo spot finisce con lui che fa il carino con la signora, Dixan in primo piano, e la scritta “Campione contro le macchie”.

Questo spot ha sfruttato varie armi persuasorie: un influente che presenta il prodotto, un demo con la dichiarazione dell’improvement (oggi più forza blu) e un torture test, con i vari viaggi dentro e fuori della tovaglia.

 

Dash.

Molto simile la strategia del Dash. Questa volta a presentare il prodotto è il gestore di un bar, la cui polo bianca si macchia puntualmente. Anche qui c’è un ingrandimento della trama del tessuto in cui si vede come lo sporco ha attecchito bene. Si propone di lavare due polo sporche uguali, e ovviamente nello stesso punto, con due detersivi diversi: Dash e un anonimo concorrente. Tanto per non cambiare, la polo lavata con Dash risulta essere la più pulita. Alla fine viene mostrata l’immagine del prodotto e l’omino dice che per il loro lavoro l’immagine è importante e che Dash gli permette di averla sempre al meglio.

Anche qui sono state usate varie tecniche: possiamo parlare di testimonial in quanto questo omino (per di più tristissimo) è un rappresentante della classe ristoratori, poi c’è un side by side e un torture test.

Il problema però è il seguente: io ricordo queste pubblicità perché è il mio lavoro e perché le ho osservate per poterci scrivere su qualcosa e, comunque, faccio inevitabilmente confusione fra queste due marche. Ma chi dovesse malauguratamente imbattersi in questi due spot, per di più similissimi, riuscirebbe a distinguere le marche e le argomentazioni di vendita? Non lo so.

A proposito, chi di voi ricorda la stravagante apparizione del bravissimo chitarrista jazz Franco Cerri totalmente immerso nell’acqua con la sua camicia a righe a elogiare le virtù del “magico” detersivo che rispetta tessuti e colori? Peccato che la tivù allora era ancora in bianco e nero.

Lo stesso discorso vale per gli ammorbidenti: ne spunta uno nuovo ogni giorno. C’è Coccolino che è il capostipite, fedelissimo alla sua mascotte, l'orsetto Coccolino, appunto, e che continua a far vedere la morbidezza dei capi lanciandogli sopra qualcosa. Poi c’è Vernel che ha come influente Ferruccio Amendola, che continua a costringere le signore a provare il suo prodotto. Poi c’è Soflan che ha come mascotte Linus, la sua coperta e tutti gli altri Peanuts, compreso Charlie Brown infeltrito dall’acidità di Lucy, e che propone ogni mese una nuova fragranza: così c’è quello alla vaniglia, che pare che ti abbiano messo dentro una vaschetta di gelato Carte D’Or, poi c'è quello al profumo d’estate che inizia a vendere in primavera, perché è sempre bene anticiparsi un po’, poi c’è quello classico per le donne tradizionali che saggiamente si ripetono: chi lascia la via vecchia per la nuova, sa quello che lascia, ma non sa quello che trova. Passaparola!

Per non parlare poi dei dentifrici, dei saponi, dei deodoranti e così via.

I dentifrici, ad esempio. Tutti gli spot hanno il loro bravo dentista che se ne accorgerà! Di cosa si accorgerà? Se ti sei lavato i denti o meno? Se ti sta uscendo un dente nuovo o se ti stanno cadendo tutti e quindi ti devi fare una dentiera prima che sia troppo tardi? Ma non indovinerà mai se oggi hai usato Neo~Emoform al sale che sbianca i denti, o se invece usi Az (scegli tu il colore perché ormai sono tutti tartar control e c’è una menta per tutti i gusti: fredda, dolce, polare...).

Però se ti dice “Che denti!”, allora sei sicuro che ti ha scoperto: tu usi Durbans!

Insomma: la testimonianza potrà avere, anzi sicuramente avrà, un effetto positivo sull’immagine del prodotto. Ma se tutte le pubblicità usano lo stesso schema, chi le riconoscerà?

Flectio

Alla fase della pubblicità del tipo hard sell in cui le argomentazioni di vendita sono esplicite, espresse in forma imperativa, ha fatto seguito la fase di soft sell in cui l’approccio al consumatore è molto più indiretto, suadente, allusivo.

Si dice che la pubblicità non venda prodotti, ma messaggi. Ed è ben noto che per raggiungere uno scopo è spesso necessario toccare la corda dei sentimenti. Commuovere in pubblicità è un imperativo categorico. I prodotti veicolano valori e le scelte vengono compiute in base ai sistemi di valori propri degli acquirenti.

La rappresentazione di scene di famiglie felici, armoniose, danno l’idea che utilizzando un determinato prodotto si possa assomigliargli. L’ideale sembra trasformarsi in reale, abolendo momentaneamente quella sensazione di mancanza, privazione e invidia che si prova nell’osservare determinati spot.

Secondo Ogilvy, l’immagine di marca è asse portante nella strategia pubblicitaria. La crescente standardizzazione dei prodotti enfatizza la necessità di edificare intorno alla marca un’immagine efficace ed inconfondibile, che costruirà una vera rendita di posizione. Obiettivo della pubblicità è quindi quello di creare delle immagini attraenti, seduttive, attuali, che una volta acquisite resteranno proprietà esclusive della marca e saranno precluse ai competitors.

A titolo esemplificativo, si pensi agli spot della “Pasta Barilla” e della sua sub-brand Mulino Bianco.

Per quanto riguarda la Pasta Barilla, mi limiterò a considerare tre spot, i primi ad inaugurare la “politica” delle emozioni dell’azienda emiliana:

1. La bambina cinese adottata (spaghetti n. 5)

2. Il papà che parte (fusilli n. 98)

3. Il compleanno della mamma (tortiglioni n.83)

1. In questo spot si vede una coppia europea che scende da un aereo con una bambina cinese. Sono andati a prendere la bambina che hanno adottato e sono attesi all’aeroporto dall’altro figlio e i nonni. La musica in sottofondo è la classica di Barilla. Lo spot continua a casa dove vengono serviti in tavola gli spaghetti, tipico piatto italiano. La povera bambina ha non poche difficoltà a maneggiare la forchetta, essendo lei abituata alle bacchette e al riso scotto, per cui decide di abolire il grande simbolo di civilizzazione occidentale e con le manine prende uno spaghetto dal piatto e lo porta alla bocca, dando vita al “risucchio dello spaghetto”, pratica molto nota ai bambini italiani che comporta solitamente macchie di sugo sulla camicia e mamme nervose per una settimana. Alla fine, in super appare il marchio della Barilla, e la voce fuori campo recita la scritta: “Dove c’è Barilla c’è casa”.

2. In questo spot non compaiono figure femminili adulte. C’è una bambina che fa compagnia al papà, mentre prepara la valigia per partire e poi si vedono i due in macchina sulla strada per l’aeroporto. Di nascosto la piccola infila nella tasca della giacca del papà un qualcosa che ad un’attenta analisi risulta essere un “Fusillo n.98” della Barilla (ovviamente). Sempre la solita musica per tutto lo spot. Il papà in camera d’albergo, con grattacieli e cielo grigio di fronte, infila la mano in tasca e trova questo reperto. Con un gesto semi-tenero lo appoggia sorridendo alla punta del suo naso. Dico semi-tenero perché ci sono due interpretazioni possibili al riguardo:

a. il papà è commosso dal gesto di affetto della figlia (questa è la versione tenera);

b. il papà pensa: ma che figlia scema, che me ne devo fare adesso di un fusillo n. 98 della Barilla... non posso neanche mangiarlo! (in questo caso sarebbe molto meno tenero).

3 - La prima cosa degna di nota in questo spot è l'uomo che viene inquadrato più volte, tanto per convincere il pubblico femminile che esiste l'uomo ideale. Effettivamente, se i tortiglioni n.83 Barilla fossero recapitati a domicilio da uno così penso che molte consumatrici farebbero dai 5 ai 10 ordini al giorno!

In ogni caso, in questo spot c’è un’inversione di ruolo: il papà è a casa con la bambina e la mamma torna dal lavoro. La bambina ripete la poesia per il compleanno della mamma, con grande soddisfazione del papi che intanto cucina la pasta (leggermente impensierito dalle incertezze di memoria della bambina che fanno rischiare sui tempi di cottura del tortiglione) e la porta in tavola allegramente (la pasta, non la bambina).

Per quanto riguarda “Mulino Bianco” prenderò in considerazione due tipi diversi di spot:

1. quelli delle città

2. la famiglia del mulino.

Negli spot delle città, con musiche diverse ma sempre molto allegre, tra cui ricordiamo “That’s amore” e “Caterina”, vengono presentate immagini di diverse città d’Italia in cui le piazze e i vicoli diventano campi di grano. Insomma, un costante rimando alla vita bucolica e campestre per sottolineare la diffusione dei prodotti del Mulino Bianco, la loro genuinità, la loro naturalità.

Negli spot della famiglia, il mulino da simbolo diventa il luogo in cui sono ambientate le avventure di una tipica famiglia italiana. Luogo immerso nel verde, dove ogni giorno si segue una vita sana ed equilibrata, dove i valori sono quelli della semplicità, della salute, delle cose fatte in casa, anzi nel Mulino. E naturalmente, per poter essere in forma, non si può fare a meno di una sana e ricca colazione, ovviamente con i prodotti del Mulino Bianco.

I valori che questa marca incarna sono quelli della vita familiare, dove tutto è sempre a posto, dove la gioia e la felicità regnano sovrane, insomma una vita idilliaca che tutti vorrebbero. E se non possiamo averla in ogni attimo della nostra giornata, che almeno si abbia a tavola.

Delectatio

Dopo Reeves e Ogilvy, è la volta di considerare Bill Bernbach. Elemento essenziale delle sue campagne era l’intelligenza, non solo nel senso banale di chi concepisce la pubblicità, ma soprattutto del ricettore della pubblicità, ritenuto maturo ed intelligente. Il consumatore deve essere sedotto facendo ricorso alla sua intelligenza, al suo sense of humour, creando situazioni di complicità. La pubblicità deve stupire e divertire, deve suscitare il sorriso interessato, deve convincere più che persuadere.

La Delectatio si qualifica come un ibrido nato dall'unione tra amuse e amaze.

Ho considerato 4 spot per rendere l'idea che ho di divertimento in pubblicità: Impulse parfume, Hamlet Cigar, BASF tapes, Pentel Bianchetto.

 

Impulse Parfume (ag.: Ogilvy & Mather, Londra)

Lo spot si apre su una scala buia che porta ad una luce. Una ragazza di spalle sale velocemente le scale. Musica reggae in sottofondo. Si susseguono una serie di immagini ambientate in un’aula di pittura, di un modello che posa nudo, di studenti che lo ritraggono con diverse tecniche e della ragazza che corre in un corridoio luminoso. Lei entra nell’aula, passando accanto al modello guarda maliziosamente in basso e prende posto in prima fila. Segue una serie di inquadrature di volti: molto imbarazzato il modello, perplessi alcuni studenti, maliziose alcune ragazze; imbarazzata, ma compiaciuta, la ragazza iniziale a causa del “cambiamento di angolazione del soggetto”.

Su questa inquadratura vengono pronunciate le uniche parole della musica, che sono: “It is you!”. Lo spot si chiude con il pack-shot: Impulse, da disteso, scatta in posizione verticale e compare la scritta: “Men can't help acting on Impulse”.

Questa pubblicità è piena di immagini che rimandano ad altri concetti: l’inquadratura di un barattolo pieno di pennelli, la lancetta che scatta con un rimbalzo sulle 9.00 a.m., una piuma che si solleva da un termosifone rimandano chiaramente alle reazioni fisiologiche del modello. Ed essere causa di tali reazioni, in linea di massima, fa piacere ad ogni donna.

 

Hamlet Cigar (ag.: Cdp., Londra)

In questo spot inizialmente non si vede niente. Lo schermo è completamente nero. Si sentono solo due voci, una maschile (a) e una femminile (b):

a: Hi babe!

b: Oh hi!

a: You are in bed, already...

b: Yeah!

a: Wow… oh… right… leave the light off. I’ve got a surprise for you! I bet you haven't seen one of these before (si sente l’uomo canticchiare e l’unica cosa che si vede è un preservativo giallo fosforescente indossato)

b: Oh a luminous condom, … (perplessa)

a: What are these clothes doing on the floor? … ah bloody wardarobe … (inciampa nei vestiti, urta l’armadio da cui escono altri 4 o 5 preservativi fosforescenti colorati indossati ed uno rosa indossato da un cavallo) … oh wait!

b: What's going on?

a: (si accende un sigaro Hamlet e pronuncia con soddisfazione: ) Yeah

Inizia una musica tipo quella degli spot di “Vecchia Romagna” e compare la confezione dei sigari Hamlet con la scritta: Hamlet/extra mild/extra/happiness. La voce fuori campo commenta "Hamlet extra mild for extra happiness". Inizialmente alcune lettere sono curve, poi si raddrizzano.

Magari i Sigari Hamlet sono meglio di… niente.

Basf Tapes

La scena si apre in un campo militare dove un sergente distribuisce la posta. Il colore del filmato e la caratterizzazione dei personaggi ricordano “M.A.S.H.”, il film di Robert Altman.

John, un soldato, riceve una cassetta da Shirley, la ragazza.

Tra gli sguardi di invidia e condivisione degli altri soldati, John infila la cassetta nel registratore e tutti lì intorno si fermano per ascoltare il messaggio.

Contrariamente alle aspettative, Shirley gli comunica:

Dear John, oh how I hate to write

Dear John I must let you know tonight

That my love for you has gone

 

So I’m sending you this song

Tonight I’m with another

You'Il like him, John, he’s your brother

So adieu to you for ever, dear John.

John è sopraffatto dallo stupore, dato che inizialmente ha comunicato alla truppa che lui e Shirley convoleranno presto a nozze. Tra gli sguardi stupiti, imbarazzati e maliziosi dei presenti, il sergente riesce solo a dire:“Play it again, John!”.

Compare a questo punto il pack-shot con la scritta “Even bad times sound good”.

Bianchetto Pentel

Musica anni ‘60 in sottofondo. Una ragazzina è seduta sul davanzale di una finestra. E' illuminata dal sole. Ha ricevuto una lettera e pregusta il piacere di leggerla. Mano a mano che va avanti con la lettura si scopre che il ragazzo la sta lasciando.

Inizialmente dispiaciuta, si arma di Bianchetto Pentel e “corregge” la lettera stravolgendone il significato. Lei esce vincente da questa operazione, e molto soddisfatta dell'operato di Pentel che suggerisce:

Eliminate the mistakes from your life

Ma se invece di Impulse fosse stato Malizia, invece di Hamlet fosse stato Garibaldi, al posto di Basf, Sony e al posto di Pentel, Pelikan, quale sarebbe stata la differenza?

Conclusioni

E’ la pubblicità che fa la differenza.

E sì, perché il nostro amico consumatore ha due armi potentissime:

1 - il libero arbitrio: può decidere se guardare o meno la pubblicità e può così adottare la sua seconda arma;

2- il telecomando! Non ci vuol niente a premere un pulsantino e togliersi davanti questa noiosissima interruzione del fantastico programma che stava vedendo (non so bene quale canale stesse guardando questo consumatore, perché vista la qualità delle proposte delle nostre reti nazionali, direi che è di gran lunga migliore la pubblicità!).

Poter usare queste armi fa in modo che il telespettatore si senta molto potente, e spesso ne approfitta a scapito di chi ha lavorato giorno e notte per presentare un prodotto che verosimilmente non verrà neanche notato (perché noi poveri umani riusciamo ad incamerare troppi pochi messaggi rispetto al fiume che quotidianamente ci scorre davanti agli occhi).

E’ dunque il pubblico che decreta il successo, ma sono le intuizioni dei creativi e dei registi della pubblicità che debbono attirarlo e convincerlo.

“Facce ride”, urlavano le rissose platee dell’avanspettacolo romano al comico. Avevano ragione.

 

 


[1] Facoltà di Scienze della Comunicazione, Università di Salerno