Home

Avvertenza

Introduzione

Itinerario

Teoria dei Giochi

Il Gioco e le scienze umane

Videogiochi e Formazione

 

 

Barbara Napolitano[1]

Il gioco dei giochi

Un CdROM interattivo multimediale a partire dai contenuti di una ricerca etnografica

 

1.1  L’antropologia multimediale e l’etnografia in CdROM

I contenuti ed i risultati di una ricerca antropologica, dalle origini della disciplina ad oggi, sono stati sostanzialmente divulgati attraverso testi, saggi specifici, monografie, reportage fotografici, filmati documentari; se Lewis Henry Morgan nel 1858 non poteva scegliere di pubblicare un saggio in Internet, o servirsi di un CdROM per raccontare le strutture di parentela degli Objibwa del Wisconsin, l’antropologo dei nostri tempi non trascura questa possibilità. La multimedialità[2] è strumento di lavoro e nello stesso tempo per molti sociologi ed antropologi anche oggetto di studio, come pure lo furono fin dalla nascita sia la fotografia[3] che la cinematografia nella ricerca sul campo. Oggi il filmato documentario di oggetto etnografico, per esempio, affermatosi come genere, è tra i canali privilegiati per la diffusione dei risultati delle ricerche antropologiche.

Data la relativa gioventù della comunicazione multimediale non si può ancora parlare di una rilevante diffusione di lavori antropologici in CdRom e in DVD, sebbene ne siano stati pubblicati diversi esemplari, probabilmente più a carattere amatoriale che scientifico. Ma nella rete di Internet pubblicazioni etnografiche cominciano già a far numero, tanto che si intravedono gli ancora sfumati contorni di una neonata antropologia multimediale.

Il primo lavoro antropologico multimediale realizzato dal Centro Interdipartimentale di Ricerca Audiovisiva per lo Studio della Cultura Popolare dell’Università di Napoli Federico II, che da anni conduce ricerche in ambito demoantropologico, è stato un CdROM che ha come contenuto i risultati di una ricerca condotta sul gioco ed il giocattolo lucano, ricerca commissionata al Centro dalla Regione Basilicata. Prima di scegliere un supporto multimediale ed in particolare il CdROM come mezzo per la divulgazione dei risultati della ricerca ci ponemmo come antropologi delle questioni di natura epistemologica, interrogandoci sul senso che avrebbe avuto produrre un CdROM avente per oggetto i ristati di una ricerca etnografica.

In primo luogo l’interattività che distingue la comunicazione multimediale è stata individuata come caratteristica a favore del CdROM. La navigazione, infatti, non limita l’utente all’attività di spettatore, non lo confina in una consultazione del testo benché questo possa anche deliberatamente scegliere di fermarsi ad un’analisi marginale; la navigazione pone, invece, come a priori la partecipazione del navigatore alla costruzione del percorso da compiere, fino a che egli stesso diviene autore del prodotto poiché ne decide i tempi e i modi di esplorazione.

“Quando si dice che i prodotti multimediali sono interattivi, ciò implica necessariamente il fatto fondamentale che senza interattività tali prodotti sarebbero inservibili, inutili. L’interazione, insomma, non è una possibilità, bensì una precisa necessità. Cosa che naturalmente non è data né in termini di possibilità né di necessità, nel rapporto con i mass media. Facendo dei graffiti su un muro, comunico arbitrariamente e a senso unico qualcosa. Così come se vado al cinema ricevo qualcosa, inopinatamente e in un’unica direzione. Se, al contrario, mi cimento con la multimedialità non posso essere né semplice emittente, né semplice ricevente della comunicazione; mi trovo bensì costretto a divenire interlocutore tanto del mezzo (computer) che del prodotto (Internet o CdROM). Sono costretto ad ascoltare, capire, rispondere appropriatamente, risolvere problemi, scegliere dove andare, andare avanti, tornare indietro.”[4]

La possibilità di rivolgersi ad un lettore non passivo, rendendolo anche autore del viaggio è stato in definitiva tra le ragioni che ci hanno maggiormente convinti ad utilizzare il CdROM.

In secondo luogo ci parve importante il fatto che il CdROM avrebbe raggiunto un pubblico che probabilmente non si sarebbe avvicinato ad una pubblicazione scientifica sul gioco, e non sarebbe stato sensibile alla proiezione di un filmato documentario su tale argomento, ma che, al contrario, avrebbe trascorso volentieri il suo tempo davanti al computer, se si vuole anche semplicemente perché il computer è la contemporanea lanterna magica. Oltre che catturare l’attenzione dell’utente, probabilmente pure di giovane età, era necessario conservarla, e per rendere possibile questo meccanismo è cominciato un corso di traduzione per antropologi. Se l’esperienza sul campo era stata affrontata con la consapevolezza di essere di fronte ad un altro da conoscere, il rapporto con lo staff tecnico che avrebbe trasferito in linguaggio informatico i risultati della ricerca non era partito con gli stessi presupposti. Per la traduzione dei contenuti etnografici in contenuti informatici è stato necessario apprendere tutta una serie di informazioni in merito ai programmi che bisogna utilizzare, una conoscenza dei vantaggi e degli svantaggi offerti dai diversi sistemi di registrazione e ritocco dei dati in termini di tempo e qualità. Appianate le difficoltà comunicative dovevamo intenderci su quello che era antropologicamente indispensabile ci fosse nel CdROM, per evitare che la reale cultura ludica lucana divenisse un fenomeno virtuale nel quale un vero lucano non si sarebbe mai riconosciuto.

Per rendere immediata la comunicazione dei contenuti etnografici il CdROM correva il rischio di rimanere a metà tra un videogioco ed un ipertesto di specifico interesse antropologico dedicato al gioco ed al giocattolo lucano. Le due cose avrebbero potuto escludersi a vicenda, si poteva dimenticare la scientificità del prodotto a favore della sua valenza comunicativa, o viceversa, annegare completamente l’utente in un insieme di contenuti scientifici che in quanto tali. Seppure legati ad un tema apparentemente leggero come il gioco, potevano destinarsi solo ad un gruppo di specialisti.

Un’ulteriore questione, di carattere epistemologico, si poneva nella traduzione dei documenti raccolti sul campo in informazioni multimediali da proporre all’utente: pure senza la pretesa di spiegare in maniera obbiettiva il senso ed il significato che ciascun giocattolo o gioco assumeva in area lucana, o ne derivava come prodotto di quello specifico contesto, nella sua traduzione informatica era possibile che i contenuti della ricerca divenissero qualcos’altro. Bisognava, insomma, proteggere l’identità dei soggetti culturali anche dal rischio che si trasferissero, e a questo poteva concorrere pure il semplice fatto di inserirli in un CdROM, nel pentolone dell’omologazione o dell’omogeneità culturale:

“Stuart Hall individua come effetto della doppia azione della pervasività dei prodotti multimediali transnazionali da un lato, e della mobilità umana generalizzata dall’altro, la tendenza che le pratiche di definizione dell’identità vengano a fondarsi sempre meno sulla concretezza dei luoghi, intesi come spazi territoriali d’appartenenza e d’interazione faccia a faccia: […]. Ne risulta una pluralizzazione di possibilità di scelta e la trasformazione stessa delle specificità culturali etniche, locali, tradizionali, in elementi di consumo. Si intende qui il termine omogeneità culturale con una sfumatura di significato leggermente diversa da quella che sembra in prima istanza suggerire, non solo una serie identica di elementi culturali uguali e disponibili per tutti, ma l’equivalenza e la facile intercambiabilità di stili ed oggetti con origini culturali diverse, utilizzati come semplici merci” [5].

A raccontare della reale cultura ludica lucana vi erano i numerosi dati etnografici raccolti nella fase di ricerca sul campo durata quattro anni: oltre duemila scatti legati al gioco ed al giocattolo come le fotografie di giocattoli antichi, autocostruiti, artigianali e la riproduzione di immagini d’epoca relative ad antichi giochi messi in scena od a bambini ritratti assieme ai loro balocchi; le osservazioni trascritte nel periodo di permanenza sul campo; circa millecinquecento questionari compilati da bambini delle scuole dell’obbligo; più di cento interviste somministrate ad adulti, artigiani, cultori di storia locale, anziani; diversi video girati su esperienze di gioco dei bambini, ma pure che documentano la costruzione di giocattoli da parte di artigiani.

Tradurre in linguaggio multimediale dei dati etnografici significa associare tra loro le informazioni raccolte in un insieme che costituirà il CdROM; per fornire un’idea della struttura alla base di un CdROM potremmo azzardare una metafora con il DNA: come il DNA potrebbe definirsi un insieme strutturato da sequenze di basi azotate, allo stesso modo un CdROM è costituito da sequenze di ‘informazioni’ fornite da diversi media. Nel nostro caso dunque per illustrare le specificità culturali legate ad esempio alle bambole di produzione artigianale, si è trattato di associare un brano d’intervista di un’anziana signora a proposito della sua pupa, ad una foto d’archivio che ritrae una bambola di quel tipo posta in un particolare contesto, ad una strofa della canzoncina dedicata da una bimba alla bambola cucitale da una sarta. E’ dunque evidente che per costruire un CdROM è necessario attuare delle molteplici oltre che complesse codifiche del messaggio: mostrare un evento, un’azione, una tradizione in un CdROM, un DVD, un Sito Internet, significa amalgamare tra loro testi, immagini e suoni, che intervengono contemporaneamente nella trasmissione del contenuto. Questa ibridazione continua dei dati raccolti poneva per noi diversi problemi: la trasposizione di un documento etnografico in un contenuto per facilitarne la potenzialità di trasmissione, proponendolo in una veste che non gli è propria. Per l’accesso al CdROM, nelle schermate principali ad esempio sono state adoperate alcune immagini e suoni, che intervengono contemporaneamente nella trasmissione del contenuto. Questa ibridazione continua dei dati raccolti poneva per noi diversi problemi: la trasposizione di un documento etnografico in un contenuto comunicativo, infatti, mette in evidenza il rischio di snaturare lo stesso documento per facilitarne le potenzialità di trasmissione, proponendolo in una veste che non gli è propria. Per l’accesso al CdROM, nelle schermate principali ad esempio sono state adoperate alcune immagini private del loro contesto, ovvero non identificate da un periodo ed un ambito di provenienza, ma che bene alludevano all’insieme d’informazioni a cui la navigazione avrebbe condotto. Per tornare alla bambola costruita artigianalmente, una foto di questa avrebbe identificato l’accesso all’insieme delle bambole artigianali, di quella bambola, però, non si fornivano in quel contesto informazioni utili a determinare la sua provenienza od il suo utilizzo.

L’esigenza, d’altra parte, di rendere espliciti alla maggior parte dell’utenza, non formata soltanto da studiosi o cultori della materia ma estremamente diffusa e di variegata composizione (dagli studenti delle scuole dell’obbligo ai semplici curiosi), i risultati della ricerca, obbligava se non alla ‘omogeneità’ culturale ad un particolare trattamento dei dati raccolti nella fase di lavoro sul terreno, apportando pure modifiche che ne facilitassero la trasmissione. Un esempio: la testimonianza raccolta, in forma di registrazione video o audio, semplicemente scritta dall’intervistato o dall’intervistatore. Doveva essere tradotta in un link, ovvero in un approfondimento tematico, che la rendesse raggiungibile da una qualunque diramazione del percorso quella particolare informazione. La mediazione è stata complessa nei casi dei giochi che non sono praticati dai bambini contemporanei: per non ripetere in maniera costante brani di testo o interviste video di anziani, cultori di scuola locale, si è scelto, infatti, di mettere in scena gli antichi giochi ‘scritturando’ i bambini delle scuole dell’obbligo come attori. L’antropologo ha in tale circostanza operato come mai dovrebbe nella sua semplice opera di traduttore: ha creato l’evento. Elaborata una sceneggiatura che ripercorreva le regole originarie del gioco, chiedendo ai bambini di imparare filastrocche e canzoni associare a questo, si è fatto come se quei bambini fossero in realtà i loro nonni; in poche parole un falso dichiarato. Se questo significa che, come afferma Geertz[6], la cultura è un sistema di segni che si costruiscono socialmente nel momento in cui vengono interpretati, stavamo mettendo in scena, la cultura del gioco in Basilicata. Come recuperare l’onestà dell’antropologo? Anche a questa domanda era necessario trovare una risposta che non mettesse in crisi gli scopi della ricerca e rendesse vani gli sforzi di trasformarla in comunicazione multimediale interattiva. Per recuperare la versione originale di questi giochi, seppure rappresentati senza alterazioni rispetto alle descrizioni fornite sull’argomento dagli intervistati, è stato approntato un nuovo serbatoio di informazioni. Un archivio informatico costituito come database riporta la fedele trascrizione di tutti i giochi lucani recuperati nella fase di ricerca, indicandone la provenienza geografica precisa (il paese, la città…), le regole di svolgimento, gli spazi destinati alla pratica (cortile, spiazzo, casa, …), i ruoli assunti da maschi e femmine, e così via. Ma l’archivio era solo uno dei percorsi principali. Per strutturare gli altri percorsi e nello stesso tempo per ordinare l’insieme di informazioni si decise di partire dalle immagini procurate nel corso della ricerca e di sistemarle all’interno delle strade da proporre all’utente: l’organizzazione di tutto il materiale è stata quindi sostanzialmente ascritta alle fotografie.

I giocattoli raffigurati nelle foto sono stati divisi per semplici categorie: le bambole, le automobiline, le armi, gli strummoli, i mobiletti, e così via. Questa prima separazione rese evidente che molte altre cellule potevano trarsi da queste prime. Le foto di bambole, ad esempio, potevano ulteriormente dividersi in sottogruppi che rispondevano oltre che a differenze di genere, tipologiche, anche ad una diversa funzione: bambolotti, pupazzi, pupe ricche e povere, augurali, cerimoniali, autocostruite, artigianali…

Fu messo a punto uno schema ad albero, da un tronco principale, la bambola, ad esempio, era possibile staccare una serie di rami, le tipologie: bambole di pregio, da fiera, esotiche, souvenir, di materiali poveri, artigianali, autocostruite, tradizionali lucane e così via. Si frammentarono in tale maniera tutte le categorie di oggetti, attribuendo a ciascuna una serie tipologica ed una funzione: realizzato questo iniziale ipertesto ci rivolgemmo di nuovo ai tecnici con i quali erano stati condotti solo incontri preliminari. Questi ci fecero presente che le categorie da noi previste non rendevano merito alle potenziali capacità di navigazione espresse da un CdROM. L’autore del programma informatico che avremmo utilizzato, con pazienza specificò che le strutture ad albero presentavano solo una ridotta serie di percorsi da seguire e pertanto le possibilità di navigazione non sarebbero state infinite come, invece, un CdROM presuppone[7]. I pochi alberi che avevamo strutturato furono trasformati in una lunga catena di piccoli rami, ciascuno dei quali completo di testo, foto ex novo e foto d’archivio con relativa didascalia, filmato di approfondimento, bibliografia associata. La struttura ad albero, quindi, divenne un universo stellare, i cui contenuti bisognava incorniciare in un menù principale che costituisse l’accesso agli universi sottostanti. In seguito ad una fase di brainstorming, antropologi ed informatici, furono stabiliti i grandi contenitori che avrebbero costituito il percorso del CdROM. Le idee erano tante, a titolo d’esempio: fare un enorme libro dei giocattoli e dei giochi le cui pagine avrebbero contenuto diverse icone attraverso le quali con un clic del mouse, diveniva possibile accedere al serbatoio di notizie sottostante? Progettare un’enorme scatola di giochi i cui oggetti cliccabili rimandassero agli argomenti esperiti nel corso della ricerca? Nessuna di queste scelte sembrava andar bene. Si decise, infine, di utilizzare come accesso principale del CdROM un tabellone del gioco dell’oca, inteso quale metafora del gioco che contiene giochi e giocattoli.

Le perplessità epistemologiche[8] ed, in generale i problemi inerenti la traduzione non solo informatica dell’indagine etnografica, da risolvere nel corso della realizzazione del CdROM sono stati tanti, le risposte costituiscono il frutto di molte mediazioni: con il lavoro svolto sul campo, con i tecnici autori del programma, con l’utenza sempre virtualmente presente. Ciononostante qualche questione è rimasta irrisolta, molte altre, invece, sono nel prodotto che alla fine è stato partorito in merito al quale si può dire che è una traduzione. Traduzione di immagini, parole, contesti, tempi ed emozioni in un ipertesto che ha raccolto e spiegato la cultura ludica lucana. Si è trattato, in conclusione, di tradurre una ricerca antropologica in un viaggio informatico, di tradurre una ricostruzione della cultura reale in una costruzione della cultura virtuale[9]

1.2  Il gioco dei giochi

In questo paragrafo sarà presentato in sintesi il prodotto che è stato in ultima istanza realizzato sul gioco ed il giocattolo lucano. Il CdROM propone letture interconnesse, sovrapposte e trasversali attraverso però l’attuazione, innanzitutto, di  un percorso personalizzato, che consente all’utente di scegliere di volta in volta l’argomento con cui iniziare, o proseguire l’esplorazione, approfondendo in ciascuna tappa il contenuto della sezione preferita selezionando testi, foto e real-video che compaiono in ciascuna schermata. Dal menù principale è possibile accedere ad una delle seguenti sezioni del CdROM: il gioco dell’oca, il percorso didattico, l’archivio dei giochi lucani, la bibliografia.

Il nome “Gioco dei giochi”, assegnato al CdROM, trova ragion d’essere proprio nell’adozione del gioco dell’oca come percorso principale per accedere all’esplorazione. La riproduzione del tabellone del popolare gioco, ricalcando il sistema di premi e punizioni fedele all’originale, è in realtà una mappa conoscitiva strutturata in 63 caselle, ognuna delle quali svela un tema dedicato a specifici giocattoli, giochi o vicende e situazioni connesse alla tematica ludica. Si tratta comunque pure di un’autentica gara, a cui è possibile partecipare da soli contro il computer o in coppia: lo scopo è quello di raggiungere per primi il traguardo, ma nello stesso tempo apprendere le caratteristiche distintive del giocare lucano.

I temi del gioco e del giocattolo nascosti dalle caselle del percorso dedicato al gioco dell’oca sono a loro volta divisi in sotto argomenti a ciascuno dei quali è associato un insieme di immagini, di testi, di video.

Le immagini sono divise in foto ex novo e foto d’archivio. Le prime, realizzate da Alberto Baldi nel corso della ricerca, hanno per oggetto sia i giocattoli di produzione artigianale ed industriale (i più antichi risalgono alla fine dell’800, i più recenti alla fine degli anni ’60) sia bambini di oggi mentre mettono in scena giochi tradizionali. Nelle foto d’archivio riprodotte da quelle conservate in archivio da studi fotografici del luogo, o messe a disposizione da privati od ancora recuperate dagli insegnanti e dai bambini che hanno preso parte all’indagine, sono rappresentati gruppi e singoli accompagnati dai propri giocattoli o ripresi nello svolgimento di un gioco; molte di queste sono testimonianza d’esperienze di emigrazione.

I testi di questa sezione si dividono in brevi introduzioni, poste all’ingresso di ciascuna casella, e didascalie di approfondimento per ciascuna immagine.

I video si ripartono in gruppi di interviste ad artigiani e cultori di storia locale, in spot realizzati sulla rappresentazione di giochi tradizionali, in testimonianze a proposito delle caratteristiche d’uso di particolari giocattoli.

Una sezione del CdROM è dedicata ad un percorso didattico che mette in evidenza le relazioni tra le caselle, proponendo delle associazioni antropologicamente significative: ad esempio sottolineando che le caselle che trattano il tema della ritualità, o quelle che si occupano dei ruoli tradizionalmente assunti nel gioco da maschi e femmine, od ancora quelle che accolgono i giocattoli artigianali.

L’archivio dei giochi lucani include tutte le descrizioni di giochi tradizionali e contemporanei fornite da adulti e bambini lucani: l’organizzazione dei dati fa capo ad una ripartizione dei giochi in categorie. Alla voce acchiapparello, ad esempio, corrispondono tutti quei giochi le cui regole di svolgimento sono simili o derivano da quelle di questo popolare gioco. E’ possibile navigare all’interno dell’archivio utilizzando una barra di scorrimento su cui è fornita la lista delle categorie di gioco. Per ciascuna tipologia sono indicati l’area geografica di provenienza e la provincia di riferimento, i luoghi in cui il gioco era preferibilmente svolto (il cortile, l’aia, il vicolo…), il sesso ed il numero dei partecipanti.

La sezione bibliografica riporta tutti i testi impiegati per approfondire l’argomento del gioco e del giocattolo, sia con riferimento alla realtà locale che al tema del gioco in sé. Questi costituiscono un’utile mappa per chi voglia continuare in direzione diversa una personale ludica ricerca.



[1] Facoltà di Sociologia, Università di Napoli Federico II

[2] Che cos’è un multimedia? Nel suo significato più ampio, il termine si riferisce a un’esperienza multisensoriale, l’integrazione di diverse modalità comunicative in un’unica realizzazione artistica. In tal senso il multimedia comprende film, teatro, opera, musica, perfino i dipinti delle caverne di Lascaux! D’altro canto ‘multimedia interattivo’ comprende quanto sopra con l’aggiunta del computer come strumento di controllo per effettuare ulteriori integrazioni per consentire l’integrazione. E’ comunque vitale tenere bene a mente come il multimedia vada ben oltre l’informatica e affondi le radici nei più diversi formati in grado di integrare ogni ambito artistico con l’espressività umana”. Max D’Ambrosio, Bernardo Parrella ( a cura di), Web multimedia. La comunicazione multimediale dai graffiti a Internet: storia, strategie e tecniche, Apogeo, Milano 1998, p.5. “Che cosa intendiamo quando parliamo di multimedialità?Anzitutto, si parla di cose concrete: CdROM, DVD (Digital Video Disc) e pagine Web da una parte (ovvero quanto già appartiene alla vita quotidiana corrente) e realtà virtuale e intelligenza artificiale dall’altra, cioè quanto ancora no è esperienza collettivamente condivisa ma che potrebbe divenirlo a breve, Questi prodotti e ambiti, anche a prescindere dalle varie applicazioni che trovano degli argomenti che trattano, hanno alcune caratteristiche in comune. Sul piano strettamente tecnologico, si può dire che elaborino informazioni in formato digitale e facciano uso di ingegneria informatica, ovvero di un qualche tipo di computer. Dal punto di vista della struttura della comunicazione la multimedialità si propone come ipertestuale e ipermediale, o meglio potenzialità per esserlo al massimo grado. Ipertestuale significa che, sia nel modo in cui sono progettati sia per come vengono realizzati, i prodotti multimediali consentono di muoversi liberamente e comodamente all’interno di un ‘testo’, lasciando a chi li usa la facoltà di decidere strategie e tattiche di fruizione. Unico limite teorico alla libertà di movimento in unità d’informazione, ma se si pensa a Internet o a un’enciclopedia su CdROM è evidente come tale limite sia davvero qualcosa di molto, molto teorico – le combinazioni possibili e attuabili si offrono in numero pressoché illimitato.” M. D’Ambrosio, cit., p. 136. 

[3] Al ruolo svolto dalla fotografia nell’indagine antropologica ha dedicato diversi saggi oltre che numerosi seminari Alberto Baldi, docente di etnografia della Facoltà di Sociologia dell’Università degli Studi di Napoli, Federico II.

[4] M.D’Ambrosio, B. Parrella, op.cit., p.134.

[5] V.Bitti, Antropologia del movimento, http: //glocal.e-txet.it/1999/001/antromov.htm

[6] C.Geertz, Interpretazione di culture, Il Mulino, Bologna 1987.

[7] “Con l’avvento dell’ipertesto si modifica sensibilmente la nozione tradizionale di testo. Scompare l’idea di “architettura unitaria sequenziale” e il testo viene “atomizzato”, ridotto frammentariamente a isole fra le quali “navigare”: un aspetto, questo, “esasperato dall’ampliabilità dell’ipertesto a seguito degli interventi del fruitore”; se da una parte si affaccia “una concezione elastica dei confini del testo (inizio, fine e ‘bordi’, dunque di ‘dentro e ‘fuori’), d’altra parte non si può più parlare di una gerarchicità fissa e monocentrica de luoghi testuali: ‘ipertesto è multicentrico, anche ideologicamente aperto e ‘polilogico’ […esso] realizza il modello di una testualità-ipertestualità ‘enciclopedica’ secondo il modello della rete e del rizoma. Potremmo anche dire che l’ipertesto è un testo, che mima al massimo grado la plurivocità e la complessità dell’enciclopedia. E’ importante sottolineare il fatto che si tratta, comunque, di mimica, perché l’ipertesto è “pur sempre il prodotto di una costruzione e di un preordinamento”, anche se molto elastici e aperti”. Gianfranco Bettetini, L’audiovisivo dal cinema ai nuovi media, Bompiani, Milano 1996, p.155.

[8]  “Che cosa a che fare la tecnica con il soggetto umano? La tecnica è comunque rivelativa della peculiarità intellettuale e appetitiva del soggetto, una forma fondamentale dell’umano.. Ma come partecipa alla realtà del soggetto? Chi è il soggetto umano, tale per cui il fare tecnico ne sia un’espressione identificante? Qual è, insomma, il rapporto tra la soggettività umana e il fare tecnico? Solo se si vede che il fare tecnico è parte integrante dell’essere soggetto umano, cioè che la tecnica appartiene al tutto antropologico, è possibile, almeno in linea di principio, trovare il criterio per una misura umana della tecnica […]. La comunicazione tra tecnica ed etica, tuttavia, esiste e passa attraverso la questione antropologica; se la tecnica appartiene al tutto antropologico, allora l’etico, che è l’assunzione del desiderio e del suo fine, può intervenire sulla tecnica dicendo qualcosa di appropriato. Può succedere allora che la tecnica venga a trovarsi di fronte a possibilità antropologicamente insensate, cioè non aventi un senso che compie il soggetto umano. Se, per esempio, la manipolazione genetica volesse intaccare l’identità del soggetto che dovrebbe promuovere, l’etica avrebbe diritto di segnalare alle possibilità la loro insensatezza genetica. Tutto sta nell’individuare quale sia il luogo di appartenenza della tecnica alla totalità del soggetto umano. Se questo viene individuato […] allora anche il discorso etico relativo alla tecnica ha motivo di esistere viceversa la tecnica e l’etica sono destinate a restare irrimediabilmente separate e inconciliabili. Se invece la tecnica è una forma del desiderio umano e l’etica è una forma di attuazione e di regolazione del desiderio, allora la coscienza morale ha titolo per indicare alla tecnica dei criteri di comportamento in forza dei diritti del desiderio umano stesso.” Francesco Botturi, Tecnica e antropologia, http://www.augustea.it/dgabriele/italiano/teo­_tecnica.htm

[9] “Non ci chiediamo infatti dove ci stiano portando le nuove tecnologie, ci chiediamo invece che cosa ne stiamo facendo, a quali scopi le stiamo indirizzando. Le tecnologie sono dentro il contesto sociale,non viceversa. Sono progetti degli attori, non realtà a sé stanti. Ma, proprio per questo, esse richiedono una capacità di elaborazione culturale all’altezza della situazione”, Giuseppe Mantovani, Comunicazione e identità, Il Mulino, Bologna 1995, p. 217.