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Riccardo
Dalisi[1]
Spazi di gioco
Quando i bambini più piccoli disegnano fiori, animali, casette, inseguono articolazioni, movimenti grafici, presenze allusive, disegnano cioè qualcosa che vuole essere, che è in nuce: insomma, un seme. Anche gli architetti con freschezza di idee e di immaginazione esprimono, prima d’ogni cosa, un sentimento di spazio, una presenza grafica che dovrà poi crescere e svilupparsi, esprimono dei semi di architettura. E’ come se ci fosse, anzi c’è, un mondo delle immagini, come un mondo delle anime che vogliono venire alla luce. Lì attinge ci riesce a costruirsi una scaletta semplice e tanto lunga da arrivarci, i bambini sono tanti agili da giungervi presto. In questo mondo delle forme ve ne sono tante usate e strausate, ma tante altre no, proprio nessuno le ha ancora usate. Qualcuno dice che è il mondo della storia o degli archetipi o dei tipi, o delle funzioni da cui poi trarre forme. Io dico semplicemente che quello è il mondo delle immagini, Superando le forche caudine della mente e del già pensato, si può sperimentare la progettazione libera, il progettare senza pensare, E vengono fuori semi di architettura. Invece di seme potremmo definirlo cifra, motivo. Ecco quindi: “semi di architettura con germogli”. Si è iniziato con la creta che si plasma con le mani, guidate dai sensi, alimentate dal sentimento, vigilato dalla mente, Si mostrano modelli di cartoncino colorato, fatti dalle mani, geometrizzati in schizzi (a mano) ideati liberamente come atti puri del gioco spaziale. Progettare è un atto che presuppone una esperienza interiore e deriva da quella totalità che è l’essere umano: c’entrano tutte le dimensioni dell’uomo, ed anche la mente, ma è davvero errato ridurlo a un puro processo razionale, ad un sapiente mestiere. Né d’altro canto tale processo può essere inteso se non come una guida che regola e mette in relazione il ‘senso dell’equilibrio e del rapporto d’armonia’, qualità e gusto, i necessari richiami alla storia, alle tradizioni, e bisogni personali; senso del genius loci, senso estetico, senso di freschezza e semplicità. Ciò che entra in quella cruciale prassi del progettare è, potremmo dire, la coscienza dell’uomo. Coscienza come senso dell’essere, che è la base di tutto, di noi stessi, dal quale deriva anche il pensare. Di solito pensiamo alla creazione del mondo, al big bang, solo come ad un’esplosione materia in cui non c’era ancora posto per la vita e quindi neppure per la vita emozionale, per l’intelligenza e per la vita dello spirito. E pensiamo che questa sia venuta dopo come da un’ebollizione della materia. Ed invece l’esplosione, il big bang, fu un vero atto creativo in cui, in embrione, “esplose la possibilità del pensiero, e innanzi tutto quello che diciamo spirito, con tutte le sue potenzialità”. Tutto ciò che di straordinario vediamo nella natura accidentale era già entro, era nelle infinite potenzialità originarie, un’esplosione di amore incontenibile che si propagò in tutte le direzioni e creò le stelle, il firmamento, e continua ancora a creare, rivolgendosi e dispiegandosi nelle infinite distese del cosmo. Sentiamo limitativa la concezione materia dell’universo, in base alla quale la scintilla della vita sarebbe giunta sul nostro pianeta per un misterioso accidente; e così anche l’evoluzione, e la capacità riflessiva, ed il modo straordinario della spiritualità dell’uomo. Possiamo in realtà riconoscere come l’idea creativa sia simile ad una piccola esplosione, quale infinitesimo frammento del big bang originario. In quel magma c’erano in embrione la possibilità dello sguardo, la luce del pensiero, il calore dell’amore. Noi eravamo già dentro quel big bang. E’ possibile. E ciò che non è meno sorprendente è la forza di comunicarlo, di rievocarlo in noi, che appare del tutto simile alla forza di propagazione che a avuto l’esplosione originaria. Quando creiamo, proviamo qualcosa del genere, ripercorriamo la storia del cosmo. Progettare è dunque un atto in cui, da qualche parte, sfocia il sentimento e l’immagine di ciò che deve essere; solo dopo si dispiega il pensiero. Mi hanno colpito i disegni sui tamburi degli sciamani ed anche la loro forma, un grosso, semplice tamburello rettangolareggiante. Fanno pensare a quelli dei bambini (più sintetici), spaziali ed ampi; fanno pensare a una scrittura figurata, a certi disegni di Klee. Devo dire che mi hanno suggestionato e quasi indotto ad un volo emozionale. Forse ogni disegno intenso produce un volo sciamanico che, ricadendo, produce disegni per oggetti d’uso. Il processo mediante il quale si arriva ad un progetto è come un volo in un mondo possibile: bisogna immaginarselo, un oggetto, per disegnarlo, bisogna immaginarlo usato da persone, in un ambiente, accostato ad altri, alcuni già realizzati altri non ancora, oppure operanti in ambiti sconosciuti. E questo non è forse paragonabile ad un volo sciamanico – per guarire non devo immaginare di poter attraversare indenne la regione del male e sfociare dall’altro lato? Non devo fortemente sentire di poter combattere il male, superarlo? Non è utile o necessario tutto questo alla guarigione? Il volo sciamanico è, per me, una metafora, è un agevole percorrere significati possibili, capacità di creare l’ambiente in cui spaziare. Progettare è volare. Un design inclusivo eppure essenziale, capace di lanciare dei ponti, di lasciare vedere, a mo’ di cannocchiale multiplo, tradizione e futuro mescolati insieme. Un design visionario, senza confini, che vinca il crescente uso della burocratizzazione per risolvere i problemi della vita sociale che guarda dietro e si affanna. Un progettare coraggioso, ineccepibile, che scavalchi quel mondo di barriere e di paure. Un disegnare elegante, semplice, che abbia come fine dell’uomo ciò che lo porta nel mondo, che faccia essere il mondo capace di ‘abitare’ con un nuovo sapore di poesia. Un design di avventura. Ogni epoca ha saputo trovare un proprio modo di avventura:
Ci è ora richiesto di entrare nell’età di altre ardimentose avventure: quella della consapevolezza dispiegata, dell’incontro con il tu, con i tu, della scoperta che il tu è in me, che è la più antica saggezza. C’è forse da dire che tutto è soltanto un sogno, che niente sia vero: qui la sfida e l’estrema ebbrezza. La realtà è a piani: salire al piano superiore. Lì la bellezza parlerà un’altra lingua. E l’amore che di essa è figlia e madre. Il progettare esprime l’uomo: attraverso il proprio progetto, l’uomo si autorappresenta, esprime le proprie capacità ed i propri limiti. Un progetto è la capacità di tradurre risorse e potenziali in possibilità concrete. Il progettare è sforzo di gettare luce sulla propria condizione vedendola proiettata nel futuro. Progettare è procedere. Nell’ambito architettonico è qualcosa di più di un mestiere, anche se ogni mestiere comporta conoscenze, esperienze ed estro. Fermo restando che cognizioni, conoscenze ed esperienze sono fondamentali. Il progettare è un provarsi e riprovarsi finché appare un’intuizione che sembra illuminare ogni cosa e tutto si ricompone intorno a quella soluzione. Lo sforzo è dunque quello di raggiungere questo momento. Disegnare senza pensare… …
con gioia. |