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Giuseppe Acone [1]
La dimensione ludica nella cultura pedagogica
contemporanea.
Nota introduttiva
La
presente occasione che vede qui convenuti insigni studiosi di scienze umane e di
scienze dell’educazione per trattare del tema del gioco nelle sue molteplici
implicazioni, nella società complessa del nostro tempo e quale modalità
trasversale della vita umana in generale, mi fornisce la possibilità di esporre
in rapidissima sintesi la rilevanza della dimensione ludica nella prospettiva di studio della
pedagogia contemporanea. E’
pressochè ovvio richiamare qui la triplice dimensione resa celebre da Huizinga,
per la quale all’homo sapiens e all’homo faber va connesso l’homo
ludens, non come forma dell’umano (Hegel)
aggiuntiva, ma come struttura costitutiva e
alimentatrice della stessa
produttività immaginativa e creativa dell’homo faber e dell’homo
sapiens. L’elaborazione
teorico-pratica della pedagogia occidentale è ovviamente talmente ricca di
stimoli creativi e di valenze riconducibili alla dimensione ludica umana da
rendere impraticabile qualsiasi tentativo di ricognizione sia pur sintetica e
schematica . Basti
richiamare Froebel per tutti, quasi come modalità emblematica di quanto la
centralità della pedagogia del gioco abbia
rappresentato anche una forma di interpretazione generale dell’antropologia,
considerata nella sua dinamica evolutiva, e centrata sul nodo germinale dell’infanzia. Nel
nostro secolo, l’approfondimento delle tematiche connesse alla dimensione
ludica vanno dall’elaborazione strutturale della scuola attiva europea e
americana (da Claperède a Dewey) ,fino alla cruciale messa a punto più recente
di Bruner e Gardner. La dimensione ludica è sicuramente non solo la fonte del pensiero divergente, dell’ideazione produttiva e creatrice, della capacità umana di produrre ipotesi, ma anche della relativa possibilità umana di costruire un mondo di artefatti dell’universo della tecnica, che, ad esempio secondo Ghelen costituisce lo specifico antropomorfico della specie umana. Appare ad esempio centrale l’intercettazione della dimensione ludica non solo da parte della metodologia pedagogico-didattica di impianto attivistico, ma di qualsiasi impostazione pedagogico- didattica che voglia configurarsi come lettura antropo-pedagogica della condizione umana. E’ Claparède che all’interno di una visione antropopedagogica funzionalista e bio-evolutiva dell’infanzia propone il gioco come modalità del come se. Se la fillette gioca con la bambola come se fosse una bambina, mette in gioco l’elemento formativo della personalità che non concerne soltanto l’ambito ludico, ma pertiene ad una forma globale dell’educabilità umana. Il gioco è una sorgente della stessa configurazione antropologica di base dell’umanità in formazione. Essa
caratterizza ed esprime la fonte della stessa dimensione simbolica. L‘animal simbolicum di cui parla Cassirer è figlio della ludicità generale della configurazione psico - fisica dell’uomo. Appare
evidente che la dimensione ludica trova la propria espressione pedagogica in
modo concreto nella fase evolutiva che va dalla prima infanzia alla giovinezza,
ma non cessa di esercitare per tutta la vita un ruolo di grande importanza. E’ stato sempre chiaro ai grandi interpreti dell’educazione umana che bisogna fortemente preoccuparsi non solo quando un bambino non parla, ma anche quando un bambino non gioca. Dalla Montessori alle sorelle Agazzi, da Claparède a Chateau, da Bruner a Gardner, la linfa vitale della ludicità appare non solo come il discrimine tra produttività simbolica e capacità generale di traslazione metaforica di significati, ma anche come forte indicatore della linea di demarcazione tra sana evoluzione psichica e cosiddette “disgrazie evolutive”, in una parola tra salute e malattia psichica. Lungo questo versante di indagine è probabile che bisogna tener conto della onnipervadenza organica e totalizzante dell’attività ludica nella pienezza della fase evolutiva dell’umanità. Delle tre grandi dimensioni formative dell’umanità in evoluzione moderna (il gioco - il lavoro - lo studio) è probabile che, nella prima e nella seconda infanzia e per tutta l’ambigua fase adolescenziale, il gioco finisce per essere la pregnanza generale delle altre due attività costitutive. Talchè è probabile dire che i bambini non “giocano e lavorano”, ma “giocano – lavorano” , “ludicano”, in una bipolarità che può essere sicuramente utile alle attività di studio, allorché essa riesce ad intercettare il regno profondo del come se, rappresentato dalla qualità del gioco infantile. Appare del tutto evidente che la negazione di questa tonalità diffusiva di fondo della psichicità specifica dell’ infanzia non fa guadagnare nulla alle attività cosiddette “serie” , ma estremizzata spesso in forma burocratico-curriculare , produce soltanto l’essiccazione delle fonti motivazionali e separa in modo artificiale e doloroso la qualità psichica dell’apprendimento, la sua intelligenza emotivamente profonda , dagli aspetti condizionatori di esso e dalla meccanica acquisizione di riflessi necessitanti. Appare evidente, altresì, che la recente sottovalutazione degli aspetti ludici non è tanto da rintracciare in una fin troppo insistita separazione tra diverse forme di attività delle quali alcune ritenute aperte alla ricreazione ed allo svago, oppure considerate non formali e prevalentemente, oggi come oggi, tendenti all’ ipertestualità. La questione è assolutamente diversa: il grande scienziato è grande perché studia e produce le sue ipotesi come il bambino produce le sue forme ludiche; il grande poeta o gioca con le parole, anche quando è tragicamente serio come Leopardi, o dalle parole è giocato e non è più grande poeta. Non si tratta di ridurre tutto a gioco linguistico, come pure per tanti aspetti vorrebbe Wittengstein; si tratta invece di conservare non solo la traccia mnestica , ma la fonte viva della ludicità quale motore profondo della capacità umana di produrre simboli , metafore, teorie e tutto quanto è legato ad un polo che solo i superficiali ritengono slegato dall’essere . La pedagogia e la didattica che accentuano il momento ludico sanno, altresì, assai bene che l’educazione è anche gioco nella misura in cui non è ridotta alla dimensione adultistica del gioco. Quest’ultima, essendo una forma di fuoriuscita dalla radicale pregnanza del gioco infantile, non è la dimensione intercettabile da una formazione adeguata alle polivalenti potenzialità umane . Insomma, vi è una prossimità – distanza tra dimensione infantile e dimensione adultistica della ludicità. Bisogna sempre evitare di scambiarle. Ed è evidente che molta pedagogia – didattica affidata ad un eccesso di razionalizzazione scientifico-scientista , scambia l’una con l’altra. Si
impone, insomma, un riconoscimento pieno proprio della qualità specifica della
ludicità infantile. L’avvenire
dell’educazione vuole che essa sia “filtrata” e non “negata”. [1]
Ordinario di
Pedagogia Generale, Preside della Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università
di Salerno |