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Fulvio
Iannucci[1] Va
dove ti porta il copy Goldrake
o Mazinga? Questa era una domanda ricorrente quando ero poco più che
adolescente. Goldrake e Mazinga erano i beniamini di tutti i ragazzi
della mia generazione. Entrambi paladini del bene e dotati di
superpoteri e armi fenomenali, seppur diversi. Sentimenti pari ed armi
pari, quindi. Ognuno di noi, per un motivo o per un altro, ne preferiva
uno, eppure nel loro epico scontro (una puntata in cui Goldrake e
Mazinga furono costretti al faccia a faccia) è stato difficile “scegliere”
quale dei due sostenere. Tale
imbarazzo lo riviviamo quotidianamente quando assistiamo all'incontro/
scontro di prodotti appartenenti allo stesso settore merceologico che
sfoderano armi uguali, ma sempre diverse; ci stupiscono con suoni e
colori, confezioni invitanti e visi sorridenti. Contrariamente a quanto
avvenne per Mazinga e Goldrake, il cui destino era già scritto nelle
stelle, adesso siamo noi a decidere chi vincerà la battaglia. I
prodotti sono tutti disposti ordinatamente, pancia in dentro e petto in
fuori, sugli scaffali dei supermercati o del negozio sotto casa e ogni
volta che qualcuno gli si avvicina pensano: “Speriamo che scelga me,
speriamo che scelga me!”, augurandosi che il tanto agognato assenso si
trasformi in un “Sì” per la vita. Ma da cosa è condizionato il
nostro tanto desiderato “Sì”? Ovviamente dalla pubblicità che
viene fatta sul prodotto. La
pubblicità, signora e schiava di imprese, prodotti, persone, ci
martella con la sua presenza costante ed impossibile da evitare: in tv,
per radio, sulla carta stampata e ad ogni angolo di strada. Tenta di
convincerci, commuoverci e di farci “cadere in tentazione”, di farci
percepire come necessario ciò a cui invece potremmo tranquillamente
rinunciare. L'unico problema è che tutti i prodotti si scontrano sullo
stesso campo e combattono accanitamente: insomma tutte le pubblicità
finiscono col dire le stesse cose. C’è chi le dice meglio, c’è chi
le dice peggio e chi, non sapendo come dirle, le dice cantando (secondo
uno dei grandi principi della pubblicità: “Se non avete nulla da
dire, cantatelo”). Volendo
considerare la pubblicità come “Ars Oratoria” dei prodotti, perché
non considerare un punto di vista alternativo? Invece di andare in
Grecia a scomodare lo Stagirita, io proporrei di considerare il punto di
vista di un principe del foro nostrano: Cicerone. Nel
De Oratore Cicerone codifica la struttura dell'ottima orazione.
Per arrivare ad un ottimo risultato bisogna rispettare un iter composto
dalle seguenti fasi: Inventio: ovvero il reperimento degli argomenti; Dispositio: ovvero la sequenza in cui verranno presentati gli argomenti; Memoria: eh sì, perché allora non si usava leggere i discorsi! Actio: costituita da: -
elocutio: che include la grammatica e la dizione e che viene
solitamente considerata “il bel parlare” -
pronuntiatio: ovvero esposizione con la voce, con la posa, con il
gesto, con i movimenti del corpo. Nell’Orator,
Cicerone riprende le tematiche del De Oratore, e disegnando il
ritratto dell’oratore ideale, sottolinea i tre fini cui tale arte deve
indirizzarsi: -
probare: prospettare con argomenti validi, quindi sinonimo
di convincere; -
flectere: muovere
le emozioni attraverso il pathos; -
delectare: intrattenere, interessare, divertire. Probare e flectere, convincere e commuovere, sono già stati
abbondantemente sfruttati dagli addetti ai lavori. Tutte le pubblicità
dei detersivi, ad esempio, continuano a farci entrare nei tessuti per
dimostrarci la capacità di andare direttamente al cuore del problema,
formaggi che filano e fondono esattamente mentre noi diciamo “fila e
fondi”, l'acqua che rende belli perché purifica facendoci fare tanta
“tin tin”, e se poi ad offrirci un Campari Soda è Eva Herzigova non
si può che dire “Sì!”. Per
non parlare poi delle pubblicità che tentano di commuoverci ... Cosa
dire dei bambini dai faccini (e dai culetti) sorridenti, del famoso
papà che si ritrova un pezzo di semola di grano duro altrimenti
identificato come “Fusillo n.” Barilla, oppure come dimenticare la
bambina che sotto la pioggia si ferma per raccogliere un gattino mentre
la mamma (santa) l’accoglie amorevole e un po’ preoccupata, invece
di darle una sonora sgridata (come ogni mamma che si rispetti) e
rimandarla sotto la pioggia a depositare il micio lì dove lo ha
trovato! Per
non parlare della schiera di detergenti e saponi che sfruttano l’immagine
di bambini perché, si sa, a loro non si può resistere, fanno
tenerezza, insomma bisogna sfruttarli al massimo. Oppure, i cuccioli che
fanno disastri come si muovono e porterebbero all'esasperazione
chiunque. E invece no! Loro attirano solo coccole e carezze. Insomma,
non se ne può proprio più! Ma se il messaggio alla fine è uguale per
tutti i prodotti che appartengono ad un determinato settore
merceologico, perché non adottare la terza arma ciceroniana, la delectatio?
Perché non fare divertire questi poveri consumatori che vengono
bombardati da immagini concorrenti da quando si svegliano a quando vanno
a dormire? Probatio
Nel
campo dei convenience goods - beni di largo consumo, che hanno
delle alternative considerate perfettamente fungibili, acquistati con
una certa regolarità, con un costo non elevato ed il cui acquisto non
è assolutamente problematico – lo scopo della pubblicità è
aumentare la quota di mercato del prodotto considerato. Per poter fare
ciò è necessario convincere i consumatori della superiorità del
prodotto in questione rispetto a tutti gli altri appartenenti alla
stessa categoria merceologica. Negli anni ‘40 Rosser Reeves ideò la Unique
Selling Proposition (U.S.P.). La
U.S.P. è divisa in tre parti: 1.
Ogni campagna pubblicitaria deve proporre un beneficio per il
consumatore. Ogni singolo annuncio deve comunicare: “Compra questo
prodotto ed otterrai questo specifico beneficio”. 2.
Deve essere un beneficio che la concorrenza non può o, di fatto, non
offre. Deve essere unico, sia che si tratti di un’esclusività del
prodotto o di un’affermazione che non viene comunque usata in quel
particolare settore merceologico dalla pubblicità. 3.
Il beneficio deve essere così forte da poter spingere milioni di
consumatori all’acquisto, in altre parole portare nuovi clienti al
prodotto. La
U.S.P. trova la sua validità solo nella giustificazione della promessa:
ed ecco apparire sulla scena la Reason Why. Queste signore della
pubblicità hanno costituito lo schema base degli spot. Ad infliggere il
colpo di grazia al consumatore è la Supporting Evidence, la
caratteristica più evidente della Reason Why, quella che
fornisce gli elementi per una dimostrazione visiva delle caratteristiche
del prodotto. Negli
spot vengono usate varie armi: superiority statement, side by side,
demo, torture test, testimonial, endorsement. Il superiority statement consiste nell’usare figure retoriche che contengono una falsa comparazione oppure nel dichiarare di essere “i primi” o “gli unici”. Nel
side by side, vengono presentati due prodotti che risolvono lo
stesso problema: il nostro prodotto ed un concorrente anonimo e
inevitabilmente si dimostra che il prodotto in questione è il migliore. Il
demo è la dimostrazione tecnica della superiorità del prodotto
in cui la concorrenza ha sempre la peggio ed in cui viene periodicamente
annunciato un miglioramento del prodotto (improvement). Il
torture test è lo spettacolo con le caratteristiche tecniche del
prodotto. Il
testimonial è un personaggio famoso che fa pubblicità al
prodotto. Può anche essere gente comune. Arma efficacissima è fare in
modo che il messaggio venga annunciato da una fonte attendibile. L’attendibilità
della fonte influisce moltissimo sugli acquisti dei consumatori, i quali
ritengono che sia molto meglio farsi convincere da chi ha attinenza con
il prodotto pubblicizzato. L’attendibilità della fonte è garanzia di
qualità. Considerato che la pubblicità veicola soprattutto valori, è
necessario che nel momento in cui viene lanciato un messaggio, a
lanciarlo sia qualcuno che riscuote il consenso pubblico e che sia
ritenuto un “intenditore”. Bisogna fare molta attenzione nella
scelta del testimonial, perché verrà sempre associato al
prodotto, e quindi un’ immagine negativa si rifletterà direttamente
sul prodotto. Possiamo distinguere fra testimonial e influente: al testimonial viene attribuita specifica competenza sull’oggetto della comunicazione, mentre l’influente è colui che presso la audience gode di un generico goodwill o una autorevolezza basata sul carisma di chi partecipa allo star system. L'endorsement è la presentazione del prodotto fatta in modo autorevole da un esperto in materia. A
questo punto possiamo considerare alcuni spot.
Dixan. La
scena si svolge in una casa con giardino. Al sole è steso il bucato
appena fatto, ma la signora non è soddisfatta. Infatti sulla tovaglia
bianca è rimasta una macchia di cioccolato della torta. In soccorso
della gentil dama arriva un noto attore (Andrea Giordana, con tanto di
barba) che offre alla signora un viaggio alle Maldive… all'interno
della tovaglia. Dove il cioccolato ha fatto veramente presa e non c'è
altro modo per farlo andare via che usare Dixan. Ovviamente
senza dimenticare di dire che oggi Dixan ha più forza blu, quella che
dà un pulito perfetto. Insomma la tovaglia dopo essere stata lavata con
questo ineguagliabile prodotto è tornata più bianca di prima e…
rieccolo che ci riprova con la signora, offrendole un altro giro nella
tovaglia. Questa volta però del cioccolato neanche l'ombra! Lo spot
finisce con lui che fa il carino con la signora, Dixan in primo piano, e
la scritta “Campione contro le macchie”. Questo
spot ha sfruttato varie armi persuasorie: un influente che presenta il
prodotto, un demo con la dichiarazione dell’improvement
(oggi più forza blu) e un torture test, con i vari viaggi dentro
e fuori della tovaglia.
Dash. Molto
simile la strategia del Dash. Questa volta a presentare il prodotto è
il gestore di un bar, la cui polo bianca si macchia puntualmente. Anche
qui c’è un ingrandimento della trama del tessuto in cui si vede come
lo sporco ha attecchito bene. Si propone di lavare due polo sporche
uguali, e ovviamente nello stesso punto, con due detersivi diversi: Dash
e un anonimo concorrente. Tanto per non cambiare, la polo lavata con
Dash risulta essere la più pulita. Alla fine viene mostrata l’immagine
del prodotto e l’omino dice che per il loro lavoro l’immagine è
importante e che Dash gli permette di averla sempre al meglio. Anche
qui sono state usate varie tecniche: possiamo parlare di testimonial in
quanto questo omino (per di più tristissimo) è un rappresentante della
classe ristoratori, poi c’è un side by side e un torture
test. Il problema però è il seguente: io ricordo queste pubblicità perché è il mio lavoro e perché le ho osservate per poterci scrivere su qualcosa e, comunque, faccio inevitabilmente confusione fra queste due marche. Ma chi dovesse malauguratamente imbattersi in questi due spot, per di più similissimi, riuscirebbe a distinguere le marche e le argomentazioni di vendita? Non lo so. A
proposito, chi di voi ricorda la stravagante apparizione del bravissimo
chitarrista jazz Franco Cerri totalmente immerso nell’acqua con la sua
camicia a righe a elogiare le virtù del “magico” detersivo che
rispetta tessuti e colori? Peccato che la tivù allora era ancora in
bianco e nero. Lo
stesso discorso vale per gli ammorbidenti: ne spunta uno nuovo ogni
giorno. C’è Coccolino che è il capostipite, fedelissimo alla sua
mascotte, l'orsetto Coccolino, appunto, e che continua a far vedere la
morbidezza dei capi lanciandogli sopra qualcosa. Poi c’è Vernel che
ha come influente Ferruccio Amendola, che continua a costringere le
signore a provare il suo prodotto. Poi c’è Soflan che ha come
mascotte Linus, la sua coperta e tutti gli altri Peanuts, compreso
Charlie Brown infeltrito dall’acidità di Lucy, e che propone ogni
mese una nuova fragranza: così c’è quello alla vaniglia, che pare
che ti abbiano messo dentro una vaschetta di gelato Carte D’Or, poi
c'è quello al profumo d’estate che inizia a vendere in primavera,
perché è sempre bene anticiparsi un po’, poi c’è quello classico
per le donne tradizionali che saggiamente si ripetono: chi lascia la via
vecchia per la nuova, sa quello che lascia, ma non sa quello che trova.
Passaparola! Per
non parlare poi dei dentifrici, dei saponi, dei deodoranti e così via. I
dentifrici, ad esempio. Tutti gli spot hanno il loro bravo dentista che
se ne accorgerà! Di cosa si accorgerà? Se ti sei lavato i denti o
meno? Se ti sta uscendo un dente nuovo o se ti stanno cadendo tutti e
quindi ti devi fare una dentiera prima che sia troppo tardi? Ma non
indovinerà mai se oggi hai usato Neo~Emoform al sale che sbianca i
denti, o se invece usi Az (scegli tu il colore perché ormai sono tutti
tartar control e c’è una menta per tutti i gusti: fredda, dolce,
polare...). Però
se ti dice “Che denti!”, allora sei sicuro che ti ha scoperto: tu
usi Durbans! Insomma:
la testimonianza potrà avere, anzi sicuramente avrà, un effetto
positivo sull’immagine del prodotto. Ma se tutte le pubblicità usano
lo stesso schema, chi le riconoscerà? Flectio
Alla
fase della pubblicità del tipo hard sell in cui le
argomentazioni di vendita sono esplicite, espresse in forma imperativa,
ha fatto seguito la fase di soft sell in cui l’approccio al
consumatore è molto più indiretto, suadente, allusivo. Si
dice che la pubblicità non venda prodotti, ma messaggi. Ed è ben noto
che per raggiungere uno scopo è spesso necessario toccare la corda dei
sentimenti. Commuovere in pubblicità è un imperativo categorico. I
prodotti veicolano valori e le scelte vengono compiute in base ai
sistemi di valori propri degli acquirenti. La
rappresentazione di scene di famiglie felici, armoniose, danno l’idea
che utilizzando un determinato prodotto si possa assomigliargli. L’ideale
sembra trasformarsi in reale, abolendo momentaneamente quella sensazione
di mancanza, privazione e invidia che si prova nell’osservare
determinati spot. Secondo
Ogilvy, l’immagine di marca è asse portante nella strategia
pubblicitaria. La crescente standardizzazione dei prodotti enfatizza la
necessità di edificare intorno alla marca un’immagine efficace ed
inconfondibile, che costruirà una vera rendita di posizione. Obiettivo
della pubblicità è quindi quello di creare delle immagini attraenti,
seduttive, attuali, che una volta acquisite resteranno proprietà
esclusive della marca e saranno precluse ai competitors. A
titolo esemplificativo, si pensi agli spot della “Pasta Barilla” e
della sua sub-brand Mulino Bianco. Per
quanto riguarda la Pasta Barilla, mi limiterò a considerare tre spot, i
primi ad inaugurare la “politica” delle emozioni dell’azienda
emiliana: 1.
La bambina cinese adottata (spaghetti n. 5) 2.
Il papà che parte (fusilli n. 98) 3.
Il compleanno della mamma (tortiglioni n.83) 1.
In questo spot si vede una coppia europea che scende da un aereo con una
bambina cinese. Sono andati a prendere la bambina che hanno adottato e
sono attesi all’aeroporto dall’altro figlio e i nonni. La musica in
sottofondo è la classica di Barilla. Lo spot continua a casa dove
vengono serviti in tavola gli spaghetti, tipico piatto italiano. La
povera bambina ha non poche difficoltà a maneggiare la forchetta,
essendo lei abituata alle bacchette e al riso scotto, per cui decide di
abolire il grande simbolo di civilizzazione occidentale e con le manine
prende uno spaghetto dal piatto e lo porta alla bocca, dando vita al “risucchio
dello spaghetto”, pratica molto nota ai bambini italiani che comporta
solitamente macchie di sugo sulla camicia e mamme nervose per una
settimana. Alla fine, in super appare il marchio della Barilla,
e la voce fuori campo recita la scritta: “Dove c’è Barilla c’è
casa”. 2.
In questo spot non compaiono figure femminili adulte. C’è una bambina
che fa compagnia al papà, mentre prepara la valigia per partire e poi
si vedono i due in macchina sulla strada per l’aeroporto. Di nascosto
la piccola infila nella tasca della giacca del papà un qualcosa che ad
un’attenta analisi risulta essere un “Fusillo n.98” della Barilla
(ovviamente). Sempre la solita musica per tutto lo spot. Il papà in
camera d’albergo, con grattacieli e cielo grigio di fronte, infila la
mano in tasca e trova questo reperto. Con un gesto semi-tenero lo
appoggia sorridendo alla punta del suo naso. Dico semi-tenero perché ci
sono due interpretazioni possibili al riguardo: a.
il papà è commosso dal gesto di affetto della figlia (questa è la
versione tenera); b.
il papà pensa: ma che figlia scema, che me ne devo fare adesso di un
fusillo n. 98 della Barilla... non posso neanche mangiarlo! (in questo
caso sarebbe molto meno tenero). 3
- La prima cosa degna di nota in questo spot è l'uomo che viene
inquadrato più volte, tanto per convincere il pubblico femminile che
esiste l'uomo ideale. Effettivamente, se i tortiglioni n.83 Barilla
fossero recapitati a domicilio da uno così penso che molte consumatrici
farebbero dai 5 ai 10 ordini al giorno! In
ogni caso, in questo spot c’è un’inversione di ruolo: il papà è a
casa con la bambina e la mamma torna dal lavoro. La bambina ripete la
poesia per il compleanno della mamma, con grande soddisfazione del papi
che intanto cucina la pasta (leggermente impensierito dalle incertezze
di memoria della bambina che fanno rischiare sui tempi di cottura del
tortiglione) e la porta in tavola allegramente (la pasta, non la
bambina). Per
quanto riguarda “Mulino Bianco” prenderò in considerazione due tipi
diversi di spot: 1.
quelli delle città 2.
la famiglia del mulino. Negli
spot delle città, con musiche diverse ma sempre molto allegre, tra cui
ricordiamo “That’s amore” e “Caterina”, vengono presentate
immagini di diverse città d’Italia in cui le piazze e i vicoli
diventano campi di grano. Insomma, un costante rimando alla vita
bucolica e campestre per sottolineare la diffusione dei prodotti del
Mulino Bianco, la loro genuinità, la loro naturalità. Negli
spot della famiglia, il mulino da simbolo diventa il luogo in cui sono
ambientate le avventure di una tipica famiglia italiana. Luogo immerso
nel verde, dove ogni giorno si segue una vita sana ed equilibrata, dove
i valori sono quelli della semplicità, della salute, delle cose fatte
in casa, anzi nel Mulino. E naturalmente, per poter essere in forma, non
si può fare a meno di una sana e ricca colazione, ovviamente con i
prodotti del Mulino Bianco. I
valori che questa marca incarna sono quelli della vita familiare, dove
tutto è sempre a posto, dove la gioia e la felicità regnano sovrane,
insomma una vita idilliaca che tutti vorrebbero. E se non possiamo
averla in ogni attimo della nostra giornata, che almeno si abbia a
tavola. Delectatio
Dopo
Reeves e Ogilvy, è la volta di considerare Bill Bernbach. Elemento
essenziale delle sue campagne era l’intelligenza, non solo nel
senso banale di chi concepisce la pubblicità, ma soprattutto del
ricettore della pubblicità, ritenuto maturo ed intelligente. Il
consumatore deve essere sedotto facendo ricorso alla sua intelligenza,
al suo sense of humour, creando situazioni di complicità. La
pubblicità deve stupire e divertire, deve suscitare il sorriso
interessato, deve convincere più che persuadere. La
Delectatio si qualifica come un ibrido nato dall'unione tra amuse
e amaze. Ho
considerato 4 spot per rendere l'idea che ho di divertimento in
pubblicità: Impulse parfume, Hamlet Cigar, BASF tapes, Pentel
Bianchetto.
Impulse
Parfume (ag.: Ogilvy & Mather, Londra) Lo
spot si apre su una scala buia che porta ad una luce. Una ragazza di
spalle sale velocemente le scale. Musica reggae in sottofondo.
Si susseguono una serie di immagini ambientate in un’aula di pittura,
di un modello che posa nudo, di studenti che lo ritraggono con diverse
tecniche e della ragazza che corre in un corridoio luminoso. Lei entra
nell’aula, passando accanto al modello guarda maliziosamente in basso
e prende posto in prima fila. Segue una serie di inquadrature di volti:
molto imbarazzato il modello, perplessi alcuni studenti, maliziose
alcune ragazze; imbarazzata, ma compiaciuta, la ragazza iniziale a causa
del “cambiamento di angolazione del soggetto”. Su
questa inquadratura vengono pronunciate le uniche parole della musica,
che sono: “It is you!”. Lo spot si chiude con il pack-shot:
Impulse, da disteso, scatta in posizione verticale e compare la scritta:
“Men can't help acting on Impulse”. Questa pubblicità è piena di immagini che rimandano ad altri concetti: l’inquadratura di un barattolo pieno di pennelli, la lancetta che scatta con un rimbalzo sulle 9.00 a.m., una piuma che si solleva da un termosifone rimandano chiaramente alle reazioni fisiologiche del modello. Ed essere causa di tali reazioni, in linea di massima, fa piacere ad ogni donna.
Hamlet Cigar (ag.: Cdp., Londra) In
questo spot inizialmente non si vede niente. Lo schermo è completamente
nero. Si sentono solo due voci, una maschile (a) e una femminile (b): a: Hi babe! b:
Oh hi! a:
You are in bed, already... b:
Yeah! a:
Wow… oh… right… leave the light off. I’ve got a surprise for you!
I bet you haven't seen
one of these before (si
sente l’uomo canticchiare e l’unica cosa che si vede è un
preservativo giallo fosforescente indossato) b: Oh a luminous condom, … (perplessa) a:
What are these clothes doing on the floor? … ah bloody wardarobe … (inciampa
nei vestiti, urta l’armadio da cui escono altri 4 o 5 preservativi
fosforescenti colorati indossati ed uno rosa indossato da un cavallo)
… oh wait! b:
What's going on? a: (si accende un
sigaro Hamlet e pronuncia con soddisfazione: ) Yeah … Inizia
una musica tipo quella degli spot di “Vecchia Romagna” e compare la
confezione dei sigari Hamlet con la scritta: Hamlet/extra mild/extra/happiness.
La voce fuori campo commenta "Hamlet extra mild for extra
happiness". Inizialmente alcune lettere sono curve, poi si
raddrizzano. Magari i Sigari Hamlet sono meglio di… niente. Basf Tapes
La
scena si apre in un campo militare dove un sergente distribuisce la
posta. Il colore del filmato e la caratterizzazione dei personaggi
ricordano “M.A.S.H.”, il film di Robert Altman. John,
un soldato, riceve una cassetta da Shirley, la ragazza. Tra
gli sguardi di invidia e condivisione degli altri soldati, John infila
la cassetta nel registratore e tutti lì intorno si fermano per
ascoltare il messaggio. Contrariamente
alle aspettative, Shirley gli comunica: Dear
John, oh how I hate to write Dear
John I must let you know tonight That
my love for you has gone
So I’m sending you this song Tonight
I’m with another You'Il
like him, John, he’s your brother So
adieu to you for ever, dear John. John
è sopraffatto dallo stupore, dato che inizialmente ha comunicato alla
truppa che lui e Shirley convoleranno presto a nozze. Tra gli sguardi
stupiti, imbarazzati e maliziosi dei presenti, il sergente riesce solo a
dire:“Play it again, John!”. Compare
a questo punto il pack-shot con la scritta “Even bad times
sound good”. Bianchetto Pentel
Musica
anni ‘60 in sottofondo. Una ragazzina è seduta sul davanzale di una
finestra. E' illuminata dal sole. Ha ricevuto una lettera e pregusta il
piacere di leggerla. Mano a mano che va avanti con la lettura si scopre
che il ragazzo la sta lasciando. Inizialmente
dispiaciuta, si arma di Bianchetto Pentel e “corregge” la lettera
stravolgendone il significato. Lei esce vincente da questa operazione, e
molto soddisfatta dell'operato di Pentel che suggerisce: “Eliminate
the mistakes from your life” Ma
se invece di Impulse fosse stato Malizia, invece di Hamlet fosse stato
Garibaldi, al posto di Basf, Sony e al posto di Pentel, Pelikan, quale
sarebbe stata la differenza? Conclusioni
E’
la pubblicità che fa la differenza. E
sì, perché il nostro amico consumatore ha due armi potentissime: 1
- il libero arbitrio: può decidere se guardare o meno la pubblicità e
può così adottare la sua seconda arma; 2-
il telecomando! Non ci vuol niente a premere un pulsantino e togliersi
davanti questa noiosissima interruzione del fantastico programma che
stava vedendo (non so bene quale canale stesse guardando questo
consumatore, perché vista la qualità delle proposte delle nostre reti
nazionali, direi che è di gran lunga migliore la pubblicità!). Poter
usare queste armi fa in modo che il telespettatore si senta molto
potente, e spesso ne approfitta a scapito di chi ha lavorato giorno e
notte per presentare un prodotto che verosimilmente non verrà neanche
notato (perché noi poveri umani riusciamo ad incamerare troppi pochi
messaggi rispetto al fiume che quotidianamente ci scorre davanti agli
occhi). E’
dunque il pubblico che decreta il successo, ma sono le intuizioni dei
creativi e dei registi della pubblicità che debbono attirarlo e
convincerlo. “Facce
ride”, urlavano le rissose platee dell’avanspettacolo romano al
comico. Avevano ragione. |