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Teoria dei Giochi

Il Gioco e le scienze umane

Videogiochi e Formazione

Aldo Trione

Gioco e poiesis

 

L’idea di poiesis non deve riferirsi immediatamente al concetto di costruzione artistica o alle strutture immaginarie del fare poetico; ma è da intendersi come modalità propria delle strategie conoscitive dell’inventio, come infinito trattenimento.

La parola poiesis dice perciò, evento, fictio, gioco fantasmatico, movimento infinito.

In quel movimento è scritto il gioco umano, simbolo del mondo, come diceva Fink, il quale ne sottolineava la dimensione ontologica in rapporto alla apertura dell’uomo al mondo. Questa apertura dice la consapevolezza dell’uomo di giocare, di misurarsi con le cose.

Nel mondo si esplica l’istinto umano di inventare le metafore, attraverso le quali diamo un senso, un valore, alla vita, all’esistenza. Qui restituiamo il pensiero alla inquietudine, al gioco, al rischio.

Zarathustra dice che l’uomo autentico desidera due cose, il Rischio e il Gioco.

Ciò significa che il pensiero si muove nella dimensione del chiaroscuro, dell’enigmatico e che l’ombra è inseparabile dalla luce.

Se, dunque, il gioco vive e si realizza nel chiaroscuro si mettono in questione i modi stessi del nostro essere – nel - mondo.

Se il lampo della meraviglia si abbatte su di noi, ha osservato Fink, “se scoppia l’oscuro stupore, per cui improvvisamente il noto diventa ignoto e problematico, se compare il dubbio filosofico l’uomo non diventa più sapiente, ma al contrario più ignorante, ritorna a uno stadio che costerna e atterrisce. E l’aspetto inquietante di questa situazione è che deve considerare tutto il suo antecedente come sapere nullo e senza consistenza, infondato e vano, un non sapere, che si considerava sapere ed era preda di un accecamento di follia; ed inquietante è ancora che si sente in un primo momento respinto nella miserevole condizione di chi sa di non sapere”.

Che fare allora? Mettere tra parentesi la riflessione filosofica, il pensiero logico? Oppure avviarci per sentieri nuovi, inesplorati?

Gli uomini, come gli dei, hanno la facoltà della poiesis, la quale illumina e ordina il mondo. E il corso del mondo, come è scritto nel frammento 48 di Eraclito “è un bambino che gioca a dadi, è il regno di un bambino”. C’è un significato cosmico nel gioco umano, che costituisce al tempo stesso il più familiare dei fenomeni del vivere, che non ha bisogno di essere portato alla luce da un luogo nascosto, giocare è, insomma, una possibilità di vita gioiosamente animata. Noi conosciamo diversi giochi, passatempi, manifestazioni, momenti ludici, il fenomeno del gioco è vasto e proteiforme e abbraccia una immensa quantità di modi e strutture. La creazione più originale ha il carattere del gioco, l’universo ne è governato e l’agire dell’uomo, scandito nel segno della sua dimensione ontologica, rinvia al tutto universale. Si può dire perciò che il gioco è poiesis, è erranza, costruzione fantasmatica, trattenimento assurdo.

Conviene ora che si mettano tra parentesi certe suggestioni di tipo escatologico e trascendentistico e si cominci a guardare al mondo che ci è di fronte, come suggerisce Maffesoli. Guardare al mondo per cogliere l’evidenza dell’oggetto, per recuperare la certezza del senso comune, la profondità delle apparenze. Attraverso le trame del gioco la conoscenza può diventare una osservazione collegata con lo stato del mondo.

Ciò esige uno sguardo lucido sulle cose, sui fatti grezzi, e soprattutto esige che si elaborino strumenti di una conoscenza critica nuova atta a integrare alcuni momenti secondari della vita, come il frivolo, l’emozione, l’apparenza, che mostrano come in un tempo come il nostro, segnato da fenomeni complessi di esteticità diffusa, tutte le cose diventano importanti, poiché ogni cosa non è più importante.

Si tratta di uscire, in altri termini, dal moralismo intellettualistico dei filosofi e cercare di comprendere, attraverso il gioco, l’estetica dell’esistenza, l’uso dei piaceri della comprensione della vita sociale.

Non dobbiamo immetterci in un presente ipertroficamente diffuso e sociologicamente classificato ma cominciare a interrogarci sulle nuove tante tecniche artificiali, su certi percorsi che hanno determinato decisivi passaggi e trasformazioni della vita intellettuale del nostro tempo.

Soltanto in questo modo sarà possibile leggere anche i grandi processi di simbolizzazione di oggi che, proprio nel segno del gioco, continuano a funzionare, a produrre.  

Anche se, come con finezza interpretativa ha osservato Dorfles, certi processi che contrassegnano la nostra epoca mostrano una forte precarietà simbolica, determinata dalla costante proliferazione di rituali, mitologemi, sempre più fugaci, è possibile vedere proprio la rinascita di molti valori simbolici e mitici che altrimenti sarebbero condannati alla decadenza e alla indecifrabilità. Dentro la proliferazione estetica di oggi il gioco determina percorsi che di continuo ridisegnano la topologia stessa della nostra civiltà, rivelano modi evidenti, ci fanno scoprire significati latenti e soprattutto ci dicono che noi oggi non viviamo più come un tempo una sola precisa realtà, viviamo in più di un mondo.